Non è la prima volta; certamente non sarà l’unica. Sergio Mattarella torna a criticare «la trappola di un eterno presente, quasi in una sospensione del tempo». Lo fece nel messaggio di fine anno del 2017, quando mise in guardia contro un atteggiamento «che ignora il passato e oscura l'avvenire, così deformando il rapporto con la realtà». Ieri il capo dello Stato è tornato alla carica a Milano nel corso dell'inaugurazione dell'anno accademico dello Iulm, in occasione dei 50 anni dalla Fondazione dell'ateneo. «Non aspiro che il nostro Paese ragioni in termini di secoli, sarebbe ampiamente sufficiente e sarei pienamente soddisfatto se ragionasse in termini di decenni. Con la capacità di essere pronti per affrontare il futuro e per progettarlo», ha spiegato. E tanto per chiarire il concetto ha poi aggiunto replicando alla rappresentante degli studenti, Martina Bosin, «che ha evocato il dinamismo dell'innovazione e del progresso» : «Questo, cioè la capacità di essere pronti, di essere capaci, di affrontare gli eventi, gli imprevisti, le nuove sponde, i nuovi traguardi, le condizioni che si creano di volta in volta sempre nuove, è ciò che contrassegna un'esigenza che tutti avvertiamo. Ossia la spinta a guardare al futuro, di non essere prigionieri catturati dal presente, condizionati dal contingente'.

Fin qui il Presidente. Ma cosa significano le sue parole? La prima considerazione da fare è allontanare l’idea che si tratti di concetti retorici, espressi di fronte ad una platea di ragazzi facilmente suggestionabili. Tutto il contrario. Il rigetto chiaro e forte della “tirannide del presente” è il distillato più genuino del pensiero e delle convinzioni del capo dello Stato e delle generazione politica di cui è espressione: quasi l’autobiografia di un uomo che ha dedicato una parte decisiva della sua vita all’ossequio delle istituzioni e del meccanismo democratico che le sorregge.

In questo quadro il “pensiero lungo” è esattamente ciò che contraddistingue uno statista, cioè di chi è capace di lungimiranza ideativa e di azione, che sa dosare i tempi e anteporre un possibile beneficio immediato alla necessità di garantire un bene futuro.

Insomma qualcuno che sfugga alle sirene della popolarità a basso costo, specie se ottenuta lisciando il pelo dell’elettorato per il verso dei suoi istinti e desideri immediati. Anche quando vanno a detrimento del patrimonio sociale, culturale ed economico delle future generazioni. Il pericolo contro cui Mattarella mette in guardia è, in altri termini, la malattia che più sembra contagiare le classi politiche 2.0: la ricerca ossessiva e compulsiva del consenso ottenuto vellicando gli animal spirits dei cittadini; la voglia di allontanare qualunque impegno che suoni come impopolare; il rigetto del confronto come arricchimento reciproco. Anche in questo caso si possono citare le parole del messaggio di fine anno, stavolta il più recente: «Sentirsi ' comunità' significa condividere valori, prospettive, diritti e doveri. Significa ' pensarsi' dentro un futuro comune, da costruire insieme. Significa responsabilità, perché ciascuno di noi è, in misura più o meno grande, protagonista del futuro del nostro Paese». Il binomio lungimiranza- responsabilità è il gancio cui appendere le possibilità di crescita e sviluppo del Paese. Non c’è nulla di enfatico o ampolloso in questo continuo pungolo. C’è all’opposto la voglia di indicare un percorso, di suggerire un metodo per affrontare - e possibilmente risolvere - i problemi.

E’ evidente che qualcuno considererà cosparsi di polvere simili concetti. E invece contengono uno sprone che sarebbe deleterio ignorare o sminuire. Allontanando la velleità fuorviante di voler interpretare il pensiero del Colle, non c’è dubbio però che il confronto politico attuale, in particolare nel nostro Paese, tutto sembra tranne che apparire votato alla lungimiranza e alla costruzione del futuro. Dominano gli impulsi immediati, il battibecco quotidiano, anzi minuto per minuto, che l’uso dei social e la capacità dei nuovi strumenti mediatici di amplificare i messaggi, favoriscono. Ma il problema non sono gli strumenti digitali di espressione. Il problema è il loro uso. Non c’è alcun luddismo di ritorno capace di mettere il bavaglio alle nuove metodologie di comunicazione: sarebbe perdente, adesso come lo fu allora. Però una cosa è esercitare il ruolo che i cittadini assegnano, altro è inseguire ed enfatizzare ogni impulso e ogni tendenza della pancia dell’elettorato, più interessata a soddisfare bisogni immediati e poco attenta al “dopo”. E’ uno sforzo di pedagogia civica, pre- politica, quello che sottende le parole del Presidente. Maggioranza e opposizione farebbero bene a farne tesoro. Se Mattarella è in testa agli indici di popolarità e affidabilità, non è davvero frutto del caso.