Al primo colpo d'occhio le liste elettorali della campagna per le Europee sembrano quasi una manifestazione per la pace. Il M5S ha scelto proprio la parola magica come testimonial al posto del nome del leader che troneggia in quasi tutti gli altri simboli. Michele Santoro, l'ultimo arrivato, non ne ha avuto neppure bisogno: il suo movimento dalle incerte fortune si fregia appunto della paroletta, accompagnata da altre due ma è la prima quella che conta e colpisce maggiormente. Il campione della Lega, o più precisamente del capo della Lega perché i suoi ufficiali sgomitano per far sapere che loro non c'entrano niente, è un generale con vasta esperienza bellica su numerosi fronti. Però non inneggia al diritto degli aggrediti alla difesa, cioè all'invio delle armi perché per ora, fortunatamente, la guerra per noi è questo: al contrario è pacifista, come tutto il partito che lo candida. Su Avs, i Verdi e Sinistra italiana, non c'è neanche bisogno di soffermarsi, metterne in dubbio il pacifismo integrale significa esporsi al rischio della sfida a duello.

Il caso più bizzarro è quello del Pd. In lista ci sono un paio di nomi che da soli dovrebbero valere una intera dichiarazione programmatica: Cecilia Strada, che procede sulle orme del compianto papà Vittorio, e Marco Tarquinio, ex direttore di <CF512>Avvenire</CF>, una delle poche voce fuori dal coro nei mesi ruggenti che seguirono l'attacco di Putin. Ma non è che si tratti solo di loro: l'intero gruppo dirigente paracadutatosi sul Nazareno con Elly l'outsider viene da tradizioni che più pacifiste non si può, come del resto la stessa segretaria se potesse dire apertamente quel che pensa come faceva prima di diventare appunto segretaria. Ma come sempre il Pd è tutto e il contrario di tutto, dunque è partito insieme superpacifista e iper favorevole all'invio delle armi. Chissà se prima o poi quel partito riuscirà a dotarsi di un'identità e di una fisionomia.

L'apparenza naturalmente inganna. Quando si arriva al sodo, cioè al voto, il rapporto si rovescia e la maggioranza pacifista e contraria all'invio delle armi si riduce a una minoranza. Ma l'enfasi sulla pace che connota la campagna elettorale rivela chiaramente che i partiti ritengono, e anzi sanno, di rivolgersi a un'opinione pubblica che invece è ormai in larga misura vicina agli slogan e lontana dai voti sonanti in aula. Chi non partecipa al gioco più o meno propagandistico, oltre alle forze centriste che in Italia come in tutta Europa hanno da questo punto di vista ben poco di moderato, è proprio il partito più forte, oltretutto non certo immune alle tentazioni della propaganda populista: Fratelli d'Italia. Non solo la premier e leader dei tricolori non ostenta come gli altri pulsioni contrarie all'invio delle armi o anche solo dubbiose. Fa il contrario: maschera e nasconde quelle pulsioni che invece come è ovvio ci sono. La famosa burla telefonica ai danni della premier lo ha dimostrato già da mesi ma è noto che a Chigi la convinzione che sia ormai necessario trattare è molto più diffusa di quanto Giorgia detta Giorgia non voglia ammettere.

Quella di FdI, o meglio della sua onnipotente leader alla quale il partito si accoda come sempre senza un fiato, non è strana e bizzarra come si potrebbe credere. Meloni si muove guardando all'Europa molto più che all'Italia. Sa che politicamente lo schieramento atlantista, dunque ben lontano dal pacifismo, è stato per lei un ottimo affare, politicamente, e continuerà ad esserlo. Le bizze di Salvini, i pronunciamenti contrari all'invio delle armi di partiti di peso come i 5S e la Lega, gli stessi eterni dilemmi del Pd probabilmente la rendono contenta più che irritata. Dimostrano a Bruxelles che la sola vera garante della tenuta italiana su quel fronte è lei e che lo stesso Pd non sarebbe altrettanto solido. La stessa scelta di provare a trasformare le Europee in un plebiscito personale è stata fatta da Giorgia Meloni pensando più all'Europa che all'Italia: servirà, se i consensi personali diluvieranno come spera e prevede, a dimostrare quanto salda e incontrastata, dunque per i leader europei rassicurante, è la sua presa. I complimenti di Macron, che riconosce all'italiana pur lontanissima dalle sue posizioni su molte cose di «essersi dimostrata europeista», conforta la strategia della premier. E vale per lei molto più di strappare un pugno di voti pacifisti.