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«Prima vengono la primavera e l'estate, e poi abbiamo l'autunno e l'inverno. Ma poi ritornano la primavera e l'estate». Le parole di Chance, il giardiniere che non è mai uscito dalla casa nella quale è rimasto tutta la vita, potrebbero benissimo essere messe in bocca alle decine di parlamentari che vengono “auscultati” giorno dopo giorno, ora dopo ora, da torme di giornalisti avidi di informazioni, dettagli, barlumi su che cosa succederà, stasera, domani, chissà quando, per eleggere il prossimo presidente della Repubblica. Che cosa ha detto Giorgetti? «Ha detto: Andrà tutto bene. Sembrava sereno, ieri sembrava rabbuiato: qualcosa si muove». Che cosa ha detto Conte? «Ha detto: Domani è un altro giorno. Ma stasera c’è l’incontro del centro-sinistra, domani sapremo». E Salvini, e Meloni, e Letta – che cosa hanno detto? Già, che cosa hanno detto? La Quirinaleide occupa per intero l’informazione di questi giorni, e come non potrebbe, è uno snodo politico e istituzionale importantissimo. Ma è come se l’infodemia che ci ha sommerso in due anni di pandemia esondando dagli schermi della televisione per diventare chiacchiera pubblica si fosse improvvisamente trasformata in una epidemia da Quirinale. I Quirinalologi hanno sostituito i virologi e, come quelli, ognuno ha la sua propria teoria nell’interpretare “i dati del giorno”: non ci sono decessi e ricoverati in terapia intensiva, per fortuna, nel parlare di Quirinale, ma, come lì, non ci sono neppure dati incontrovertibili: il sopracciglio di Giorgetti, la voce sempre più roca di Conte, il cipiglio improvviso di Letta, la verbosità fuori contesto di Salvini – che dire?Qualcosa bisognerà pur dire – tenerci “informati”, “aggiornati”. Minuto per minuto.È un profluvio di trasmissioni. A volte, sembra proprio che ai no-Draghi venga riservata la sorte dei no-vax. A volte sembra che l’elezione del Quirinale sia solo una variante del contagio, quella che sperabilmente porrà fine alla pandemia.Ogni dichiarazione, ogni sfumatura del volto o della voce vengono rielaborati “in studio”: vengono endemizzati. E ogni dichiarazione, ogni sfumatura del volto o della voce producono deduzioni differenti, considerazioni diverse, certezze opposte: il sopracciglio sollevato di Giorgetti vorrà dire che c’è una fronda nella Lega, oppure che la Lega ha già un accordo per tornare a Draghi, oppure stanno marciando uniti nel centro-destra per spaccare il centro-sinistra. Alla “Maratona Mentana”, Tommaso Labate la pensa così, Alessandro De Angelis la pensa colì, Claudio Cerasa la pensa così e colì, Marco Damilano ogni volta ricomincia lo spiegone. Il Gran Cerimoniere, il ciambellano vero dell’elezione del presidente della Repubblica non è il presidente della Camera, Roberto Fico, ma Enrico Mentana.Marxianamente, è il processo di produzione di parole a mezzo di parole. E la “Maratona Mentana” appartiene per intero alle ritualità istituzionali che riguardano l’elezione del Presidente, come le urne di vimini, le chiame, lo spoglio; ciò che succede “dentro” il parlamento ha il suo svolgimento “fuori”, un fuori del tutto virtuale: non solo, ma tra il dentro e il fuori esiste una sottile membrana in cui l’uno travasa nell’altro e tutto si mantiene in una “bolla”. Molti parlamentari – le centinaia e centinaia di peones – più che fornire informazioni ai giornalisti che stazionano permanentemente lì davanti, finiscono per chiedere loro stessi ai giornalisti che cosa sia successo esattamente.Poi, ogni tanto arriva davvero il mondo reale – e c’è la situazione dell’Ucraina che si va infiammando, e c’è una recrudescenza del contagio che non riusciamo a controllare – ma ogni “questione” si riversa, si raggruma, come gocce di mercurio sparse su un piano, verso la discussione del Quirinale, anzi si spiega attraverso la discussione del Quirinale, perché è ovvio che ci sarà una ripercussione tra l’una cosa e tutto il resto. È ovvio? Lo scarto vero tra queste elezioni e le elezioni di venti, trent’anni fa non sta nella statura o nella postura dei contendenti d’adesso e dei “padri della patria” di allora: se uno ci pensa, questa classe politica e istituzionale che non sembra in grado di partorire dal suo interno dei nomi straordinari che riducano al silenzio ogni perplessità e opposizione, questa classe politica è quella che dirige il paese, lo governa e lo decide da tutto questo tempo. Cosa abbiamo fatto in questi venti-trent’anni, pettinato le bambole? A ogni tempo i suoi politici, a ogni tempo i suoi presidenti.Lo scarto vero sta in questo corto-circuito tra informazione e elezione, in cui sembra davvero che l’una, la prima, prevalga sull’altra.Il Quirinale è diventato un “social”. E noi, spettatori virtuali di questa infoquirinaleide ne siamo attratti come falene dalla luce dello schermo – a che ora inizia la maratona Mentana?E quella del pomeriggio?Certo, vorremmo che prima o poi finisse. D’altronde, non vorremmo che prima o poi finisse pure la pandemia?