La ricreazione è finita e poco importa se si era presentata con le sembianze tragiche di una pandemia letale. Dal punto di vista dei conti pubblici e dei rapporti tra l'Italia e la Ue sempre di ricreazione si è trattato. Che la lunga fase di sospensione delle regole fosse a termine era noto sin dall'inizio. Quel che invece non era stato previsto e che forse non era prevedibile era che sarebbe tornato in auge il rigore, ombra che dopo i numerosi fallimenti e i disastri provocato negli anni ' 10 di questo secolo sembrava fugata per sempre. Martedì sera, alla vigilia dell'incontro di ieri con l'omologo italiano Giorgetti, il ministro delle Finanze Lindner lo ha detto senza perifrasi: «Il rialzo dei tassi ha cambiato le cose. Un anno fa si dibatteva solo di investimenti. Oggi l'attenzione è tornata a concentrarsi su deficit e debito».

Si parla del falco tedesco numero uno, dunque la malcelata soddisfazione fa testo sino a un certo punto e di certo la visione rigida e austera dell'uomo influenza le sue previsioni. Ma sono sfumature. Nella sostanza le cose stanno proprio come dice l'austero ministro. Il pronunciamento pubblico, probabilmente, serviva anche a chiarire in anticipo al ministro italiano che i margini di trattativa sono molto stretti e non contemplano spese non contate nel deficit se non dopo vaglio occhiuto della Commissione stessa. A maggior ragione dopo che il governo italiano, con l'ennesimo rinvio a data da destinarsi del dibattito sul Mes, scopre le carte e dimostra di mirare allo scambio tra la ratifica del Mes e alleggerimento sensibile dei vincoli del Patto di Stabilità.

L'uscita di Lindner, significa, in concreto, che la Germania, forte di un accordo già raggiunto con la Francia e spalleggiata dalla presidenza Ue di turno spagnola, insisterà sui due elementi del nuovo Patto che per l'Italia sono una camicia di forza. Il primo è un rientro annuo sul deficit pari allo 0,5 per cento del Pil, più o meno una decina di miliardi, senza scorporare gli interessi sul debito che per l'Italia sono una pietra al collo. Qui però il braccio di ferro con la Francia, che come l'Italia chiede di non contare gli interessi è ancora in corso e quindi uno spiraglio aperto c'è. Il secondo punto chiave sarebbe l'introduzione della zona cuscinetto nel parametro relativo al debito per evitare rischi. Nominalmente il parametro resterebbe al 3 per cento, di fatto però scenderebbe al 2,5 e forse al 2. In compenso non ci sono spiragli per la richiesta italiana di non contare nel deficit le spese per la riconversione ecologica e per quella digitale.

Il parere della Commissione europea sulla legge di bilancio italiana va nella stessa direzione. In apparenza è il classico bicchiere mezzo pieno e mezzo vuoto che naturalmente il governo sceglie di considerare traboccante. Da Giorgetti, più sobrio, in giù, con toni invece spesso trionfalistici, l'intera maggioranza ha letto ieri quel verdetto allo stesso modo: «Tutto bene: manovra promossa e se ci sono problemi dipendono dal superbonus, cioè da Conte». È vero che il problema più specifico e spinoso è proprio il costo di quel bonus. Nelle previsioni italiane della primavera scorsa il tetto di spesa primaria indicato dalla Commissione, 1,3 per cento del Pil, era ampiamente rispettato, fermandosi allo 0,9. Solo che il costo del superbonus ha fatto sballare quelle previsioni e non di poco: per la Commissione bisogna aggiungere un buon 0,7 in più. L'anno prossimo però il fattaccio non si ripeterà (in realtà si ripeterà solo in parte), essendo stato eliminato il malefico e vampiresco bonus.

In realtà il testo di Bruxelles va però oltre questo appunto. Critica l'Italia per non aver adoperato i risparmi dovuti alla fine dei sostegni energetici per ripianare il debito e di averli invece spesi: trattasi dell' 1 per cento del Pil. Chiede di concentrarsi invece su deficit e debito prendendo di mira tutte le misure contenute nella manovra, che sommate portano a una spesa dello 0,7 del Pil e si tratta, specificano i tecnici di Bruxelles, di spese destinate a diventare per lo più permanenti. Tra le tante misure citate due sono essenzialmente nel mirino: il taglio al cuneo fiscale e le pensioni. Eliminate quelle due voci, soprattutto la prima che è il solo intervento degno di questo nome nella manovra, della legge di bilancio resta poco o niente.

La commissione insomma ha “promosso” per questa volta l'Italia ma solo per metterle intorno alla caviglia il braccialetto elettronico dei sorvegliati speciali. Il duro della commissione, Valdis Dombrovskis ci tiene a farlo capire bene. Insiste e rincara: «La spesa pubblica aumenta e questo vuol dire che nel 2024 i risparmi non vengono usati per ridurre il deficit, come avevamo chiesto. Continueremo a monitorare gli sviluppi del Bilancio italiano e il governo dovrà tenersi pronto a prendere le misure necessarie». Insomma, anche se il collega Gentiloni cerca di minimizzare, la strada aperta due giorni fa da Bruxelles porta dritta alla procedura d'infrazione, oppure a una manovra correttiva significativa in primavera e poi all'avvio di quella lunga fase di austerità che manda in sollucchero Lindner.