La caccia è aperta. Caccia grossa, come già quella del “cinghialone”, come poi quella contro il “cavaliere nero”. Non è un semplice complotto: non ci sono magistrati o generali o banchieri seduti a tavolino a ordire oscure trame. Ma è certo che l’assalto politico- giudiziario- mediatico nei confronti del ministro Matteo Salvini è partito con la virulenza che nella storia è stata riservata a pochi, ben precisi, personaggi politici.

Un tempo fu Bettino Craxi, il cui tonfo chiuse l’era della prima repubblica, il trofeo che unì una magistratura fin troppo politicizzata a un partito comunista che sognava la sua morte politica per poterne ereditare le spoglie e agli impavidi cronisti giudiziari che brindarono alla sua fine nella sala stampa del palazzo di giustizia di Milano. Se complotto ci fu, il risultato fu più che modesto. E la seconda repubblica si aprì con la vittoria del 28 marzo 1994 di Silvio Berlusconi, già preavvisato dal procuratore capo di Milano Saverio Borrelli, che gli fece sapere a mezzo stampa «chi ha scheletri nell’armadio non si candidi». E si susseguirono con implacabile sequenza le centinaia di perquisizioni, le indagini, i processi, l’intrusione nella vita privata.

Il circo mediatico- giudiziario fu feroce, e soprattutto politico. Il partito di Occhetto, polverizzato sul piano elettorale, non rimase con le mani in mano, e mise in moto una seconda “macchina da guerra”, in seno a quel partito socialista europeo in cui il Pci- Pds era stato accolto solo grazie alle buone entrature ( ah, l’ingratitudine! ) di Craxi. Così il 4 maggio di quell’anno – è appena passata una settimana dal risultato elettorale- il Pse riesce a fare votare, con un solo punto di differenza, una mozione con cui il Parlamento europeo chiedeva al Presidente della repubblica italiana un impegno sull’antifascismo. Si è aperta la caccia al “cavaliere nero”.

Che cosa ha in comune Matteo Salvini con Bettino Craxi e Silvio Berlusconi? Ha avuto successo, ha conquistato il potere, è brillante, è spavaldo. E’ molto esposto sul piano mediatico, soprattutto. E l’invidia non perdona. Partono le consuete inchieste giudiziarie di stampo pre- elettorale. Se vogliamo esaminarle tramite la lettura delle ordinanze, sono in realtà “piccole cose”. Ma ben collocate sul piano politico. In Lombardia, nella culla di quella che fu la Lega Lombarda, in una Regione da tempo ( ben) governata dal centrodestra.

Da una costola di indagini della Direzione distrettuale antimafia emergono sospetti di piccola corruzione da parte di due esponenti di Forza Italia. Ma il pesce grosso da catturare è il Presidente della Regione, il leghista Attilio Fontana. Nei suoi confronti una semplice informazione di garanzia, cioè un atto a sua tutela, per la nomina in una commissione di un suo ex collega. Ma improvvisamente sembra che lui, e lo stesso Salvini, siano finiti nell’occhio del tifone per comportamenti infamanti.

Il viceministro Luigi Di Maio non sa nascondere il suo entusiasmo, finalmente può gridare in faccia al suo collega di governo il suo urlo di guerra “onestà onestà”. Ma è la sinistra quella che, non avendo perso le sue abitudini, sa muoversi meglio, esibendo a raffica i suoi «siamo garantisti però», con dei PERO’ grandi come case. Il quotidiano La Repubblica,

pur sapendo che è un’arma spuntata ( come insegnano i precedenti casi di Renzi e Pinotti ) spara l’ipotesi che Salvini abbia usato l’aereo di Stato per i suoi comizi.

E intanto gli arrestano un sindaco di vecchia militanza come quello di Legnano. Si, la Legnano con il suo Alberto da Giussano e i ricordi e il Va pensiero cantato con commozione per la “patria perduta”. Nell’inchiesta non si parla di mazzette, non girano soldi. Pure cade la giunta, arriva il commissario, una volta di più è la magistratura a decidere chi deve governare. E Di Maio dice che il leader della Lega deve cacciare il sindaco, mentre persino gli scolari quattordicenni palermitani paragonano Salvini a Mussolini e Hitler. La caccia è aperta.