Non è stata una gaffe come tante, destinata a essere dimenticata in poche ore. Tra la segretaria del Pd e una parte importante del suo partito si è aperta una crepa profonda che la retromarcia della stessa segretaria nel comizio con cui ha concluso la Festa dell'Unità a Ravenna non è bastata a sanare. È presto per parlare di frattura insanabile, ma il commento di Elly Schlein alla fuoriuscita dei 31 dirigenti liguri passati con Calenda ha aperto, o forse solo rivelato, una feirta aperta e sanguinante: «Se qualcuno non si sente a casa in un partito che si batte per il salario minimo, per la scuola, per l'ambiente, per i diritti, per il lavoro di qualità, forse l'indirizzo era sbagliato da prima».

Le reazioni sono state numerose, univoche e tutte critiche. Elly deve essersene resa conto, o qualcuno lo deve aver segnalato: nel comizio di Ravenna gli unici passaggi che non fossero limitati a un elenco di slogan sono quelli in cui la segretaria provava a ricucire e a rassicurare l'area più moderata. Una raffica di garanzie sulla pluralità interna al partito, sul rispetto per tutte le sue anime, sulla volontà di «non escludere», sulla struttura «a rete e non piramidale» del suo nuovo Pd. Missione non compiuta. «Qual è la vera Elly Schlein, questa o quella della dichiarazione di due giorni fa?», si chiedeva subito dopo il comizio della pace uno dei principali dirigenti della minoranza. Domanda retorica. La minoranza è convinta che Elly e forse ancor più di lei il suo gruppo dirigente considerino la vecchia guardia del Pd una bad company della quale liberarsi al più presto. Materiale da rottamare.

Se l'improvvida uscita della segretaria ha destato tanta irritazione è proprio perché è sembrata la concretizzazione di uno spettro che già da mesi si aggira nelle stanze del Nazareno, quello appunto di una nuova “rottamazione”, uguale e opposta a quella di Renzi. E dietro le differenze di stile, la grinta del toscano, i sorrisi dell'emiliana, il messaggio veicolato dalla segretaria era proprio identico a quello del suo predecessore: la tentazione di fare politicamente piazza pulita di “quelli di prima”.

Quella strategia non ha portato fortuna a Renzi e non la porterà neppure a Elly Schlein, se procederà in quella direzione. Una leader con la tessera in tasca da pochi mesi ma che tratta da intrusi, gente che «ha sbagliato indirizzo», gli esponenti di una componente storica di quel partito innesca una tensione che invade anche le file della maggioranza. Porta alle estreme conseguenze quella “questione di metodo” che è all'origine delle tensioni nel partito già dalla primavera scorsa.

Però non è solo questione di metodo. Quando l'ex segretario Zingaretti, uno di quelli che avevano sostenuto l'outsider al congresso sbotta a porte chiusa, «Con questa non arriviamo manco al 17 per cento», non allude solo alla tendenza della leader a non prestare grande ascolto alle componenti del suo partito. Parla probabilmente anche di una linea politica che persino chi ha sostenuto Elly inizia a trovare eccessivamente spostata sul terreno del M5S, quello ideale per il competitor Giuseppe Conte ma anche per un Calenda che, dato per morto, mostra invece una insospettata vitalità. Una parte potente dell'establishment ha scommesso sulla carta Schlein perché la considerava l'unica chance di evitare la rotta alle prossime europee. Se la scommessa dovesse essere persa la corsa di Elly sarebbe conclusa seduta stante. Ma anche in caso contrario, nella probabile eventualità che la nuova segretaria raggiunga un risultato non eccezionale ma neppure disastroso, subito dopo la chiusura delle urne europee quegli stessi capibastone inizieranno a chiedersi se valga la pena di confermare la scommessa anche per la partita delle elezioni politiche. Una domanda con risposta meno scontata di quanto non possa apparire.

Non che all'origine dei guai ci siano solo errori della segretaria. Gestire un partito dalle mille anime e senza nessun vero collante politico e ideologico, farne una forza politica dotata di identità chiara ma allo stesso tempo in grado di proporsi come asse di una coalizione, è impresa quasi disperata, necessita di capacità politiche di alto livello. La politica è fatta anche di slogan e sarebbe assurdo rimproverare a Elly Schlein di averli usati e di usarli a man bassa per ridefinire l'identità del partito e segnalare il cambiamento a un elettorato scettico e deluso. Ma per vincere la difficilissima scommessa che ha scelto di azzardare, la segretaria del Pd dovrà dimostrare che dietro gli slogan c'è qualcosa, c'è una capacità politica reale. E dovrà cominciare a farlo presto.