E' impossibile sfuggire alla sensazione che intorno a Matteo Salvini, prodigio della politica poco più di due anni fa, poi stella cadente a velocità accelerata, il cerchio si stia stringendo. Dopo la mossa suicida del Papeete del 2019, una crisi aperta senza renderne comprensibili i motivi agli occhi dell'elettorato e senza disporre di un punto di caduta certo, Salvini ha subìto una mazzata dietro l'altra, protetto solo dalla assenza di un frontman in grado di sostituirlo sul palco dei comizi. Ma per quanto tempo quella dote tribunizia basterà a fargli da scudo diventa di giorno in giorno più incerto. La parola chiave sarà affidata domenica prossima alle urne. I sondaggi valgono quello che valgono: per quanto influenzino a fondo la vita politica restano ipotetici, aleatori, effimeri. Il responso delle urne invece è reale e implica di conseguenza un ben diverso impatto.

Sono molti e diversificati gli elementi che bisognerà considerare, già da lunedì prossimo, per capire se la posizione del capo leghista è solo indebolita o irrimediabilmente compromessa. Il primo e forse principale è la sfida diretta con Giorgia Meloni. Entrambi i leder dei più forti partiti della destra hanno affrontato questa tornata elettorale preoccupandosi più della competizione interna che di quella con la controparte politica. L'impennata dei consensi raccolti da FdI, registrata puntualmente da mesi nei sondaggi, sarà confermata. Il responso dei sondaggi è troppo lineare, unanime e costante per essere capovolto dai voti reali, tanto più che Meloni sfrutta la rendita di posizione garantita dall'opposizione mentre Salvini sconta sia la presenza nella maggioranza che la linea ambigua con la quale ha gestito la partecipazione della Lega a quella maggioranza.

La forbice tra Lega e FdI si stringerà drasticamente ma la situazione sarà molto diversa se FdI supererà la Lega nei voti di lista, o comunque la tallonerà tanto da vicino da prefigurare un probabilissimo sorpasso a breve, o se comunque il leghista manterrà un distacco tale da autorizzarlo a puntare sul mantenimento della leadership. Nel primo caso Salvini sarà forse ancora il capo della Lega formalmente, ma si tratterà di una leadership commissariata e condizionata al 90 per cento dalle decisioni del "partito del Nord", quello governista che coglierà l'occasione per imporre una drastica svolta "draghiana". Nella seconda ipotesi, invece, Salvini proverà a puntare i piedi e a resistere all'offensiva comunque garantita di Giorgetti e dei nordici. L'esito di quello scontro sarebbe incerto ma il quadro politico, con un Salvini almeno ancora in grado di difendere la sua strategia, sarebbe molto diverso.

Il secondo fattore chiave, anche sul piano psicologico, è Milano: una vittoria di Sala già al primo turno, considerata possibile, avrebbe per la Lega lo stesso effetto devastante che si registrerebbe nel Pd ove Gualtieri non dovesse arrivare al ballottaggio a Roma. Il peso di Milano nella tenuta leghista è tale che una sconfitta secca nella capitale lombarda potrebbe mettere all'ordine del giorno la sostituzione non solo della linea politica del segretario ma la sua permanenza stessa al vertice del Carroccio.

Ulteriore elemento centrale sarà la situazione dei voti al Sud. L'obiettivo fondamentale di Salvini, il senso stesso della sua sfida, era il superamento della Lega "confinata" al Nord di Bossi e Maroni e lo sfondamento al Centro e nel Sud. Se gli elettori decreteranno il fallimento di quella sfida, persino indipendentemente dall'esito complessivo, si tratterà di una carta forse decisiva nelle mani del ' partito del Nord'.

Infine sarà determinante il testa a testa con il principale partito del centrosinistra, il Pd. Da anni, almeno nei sondaggi ma anche nel test delle europee, la Lega è il primo partito. L'effetto psicologico, se dovesse perdere quella postazione sarebbe terremotante.

Comunque vada a finire domenica nelle urne, una intera fase nel percorso della Lega e degli stessi equilibri politici sia della destra che dell'intera politica italiana è destinato a concludersi con queste amministrative ma la portata della trasformazione e soprattutto la sua tempistica lo decideranno gli elettori.