Votare in maniera favorevole all'arresto di un parlamentare è sempre un esercizio di grande difficoltà. Il meccanismo democratico, infatti, si fonda sulla seperazione dei poteri, a cominicare da quello giudiziario rispetto a quello politico. Non a caso nella Costituzione fu prevista l'autorizzazione a procedere, strumento con il quale si sanciva la primazia della valutazione politica su ogni altra considerazione, salvo ovviamente la flagranza di reato. Ora quella guarentigia non c'è più, cancellata dal tornado di Tangentopoli. Ciò non toglie che votare per privare della libertà personale un rappresentante del popolo, sia pure sotto l'accusa di gravi reati, è un fatto che obbliga ad un soprassalto di attenzione, proprio per la delicatezza del tema. In buona sostanza quel che non si dovrebbe comunque fare è privilegiare atteggiamenti di sapore pilatesco che rappresentano il contrario di quell'assunzione di responsabilità a cui una decisione siffatta obbliga. Una matassa delicata e complicata da maneggiare, soprattutto in una fase in cui il rifiuto della richiesta dei magistrati viene considerata come un'indebita autodifesa della Casta rispetto ai suoi privilegi. Significa che, del tutto indipendentemente dal merito della vicenda, opporsi all'arresto è certamente assai più impopolare che sostenere il contrario.Ieri, ancora una volta, un'aula del Parlamento si è trovata di fronte alla richiesta di privazione di libertà formulata dalla magistratura nei confronti di un senatore. Il calendario dei lavori di palazzo Madama, approvato dai capigruppo, prevedeva che la delibera su Stefano Caridi di Gal - su cui si era già pronunciata per l'arresto la Giunta per le autorizzazioni a procedere - avvenisse dopo l'esame della legge sull'editoria. Il presidente Pietro Grasso - con una decisione tanto legittima quanto adottata in assoluta autonomia accogliendo una sullecitazione del M5S come pubblicamente si compiace il senatore Giarrusso - ha deciso di capovolgere l'ordine dei lavori e mettere al primo punto il voto sulla richiesta presentata dai magistrati di Reggio Calabria che accusano Caridi di appartenere al vertice della cupola segreta della 'ndrangheta.Scelta che ha suscitato una valanga di polemiche e che ha sorpreso anche il Pd: «Apprendo la sua decisione solo nel momento in cui l'ha comunicata all'Assemblea», ha detto il capogruppo Luigi Zanda. Dunque si è determinata una situazione che poteva diventare occasione di lacerazioni e strumentalizzazioni. Sulle determinazioni che riguardano la libertà personale dei parlamentari, infatti, si vota a scrutinio segreto. E al riparo dell'anonimato non era inimmaginabile ci potesse essere chi ne avrebbe approfittato per votare contro l'arresto pur avendo ufficialmente annunciato il Sì, cogliendo così l'occasione di mettere in difficoltà sia il centrodestra, compatto per il no, sia lo stesso Pd. Se insomma la pronuncia fosse stata a favore di Caridi, l'opposizione grillina ne avrebbe approfittato per attaccare le altre forze politiche colpevoli di opporsi alla richieste dei giudici e voler "salvare" un senatore gratificandolo di un trattamento diverso rispetto agli altri cittadini. Il Pd ha fiutato la trappola, e infatti Zanda ha chiesto che il voto fosse palese. Richiesta respinta. Alla fine il voto segreto ha visto comunque prevalere i favorevoli all'arresto.Manovre e contromanovre al riparo dell'urna, dunque. La voglia di allontanare strumentalizzazioni, rigettando l'ipotesi di possibili atteggiamenti persecutori da parte dei giudici, ha prevalso. Anche stavolta. Ancora una volta.Cosa covasse dietro il voto lo si capisce dalla senatrice a Cinque stelle, Enza Blundo, che twitta: «Abbiamo votato per consegnare il senatore Caridi alla magistratura, in attesa di consegnare tutti gli altri, a partire da Zanda». Successivamente, in aula, la Blundo si scusa per il tweet «ambiguo». La pd Anna Finocchiaro invita a una riflessione perchè specie quando si parla dell'onorabilità delle persone «è necessario fare attenzione al linguaggio». Un episodio che ben illumina l'attuale clima politico. Davvero poco esaltante.