Professor Damiano, è d’accordo con la proposta delle opposizioni, tranne Italia viva, dell’istituzione di un salario minimo per legge?

L’Italia è un paese noto per la sua contrattazione, che secondo le rilevazioni europee sta al di sopra di una copertura dell’ 80 per cento che giustifica la mancata adozione del salario minimo. Tuttavia, va rilevato che non solo non tutti sono coperti, ma che non sempre la tutela contrattuale ha la qualità necessaria. Tant’è che anche di recente la magistratura ha rilevato come alcuni contratti siglati dalle maggiori confederazioni, come quello delle guardie giurate, siano al di sotto di una soglia retributiva riconducibile ai criteri dell’articolo 36 della Costituzione, vale a dire dell’equa retribuzione. Del resto, l’Italia è uno dei pochi paesi che dagli anni ’ 90 a oggi ha visto diminuire il potere d’acquisto delle retribuzioni del 2,9 per cento, a fronte di un aumento nello stesso periodo del 33 per cento del potere d’acquisto delle retribuzioni tedesche e di quasi il 30 per cento di quelle francesi. Quindi, a mio avviso, avere un salario minimo per legge serve ed è utile per combattere un fenomeno che esiste, cioè il cosiddetto lavoro povero.

Il governo però è contrario e un punto d’incontro sembra lontano: su quali punti pensa sia possibile una mediazione?

La direttiva europea sul salario minimo si muove in due direzioni: la prima vuole stimolare la contrattazione di qualità e soprattutto la sua estensione. La seconda vuole combattere con il salario minimo le retribuzioni non dignitose. Credo che il punto dal quale partire sia quello del miglioramento della contrattazione. Tant’è che io sarei favorevole al fatto che la legge recepisca le tabelle salariali dei contratti cosiddetti leader o maggiormente rappresentativi al fine di conferire ai contratti stessi un valore erga omnes per quanto concerne il trattamento economico complessivo e non soltanto il minimo salariale. Al tempo stesso, sarebbe opportuno intervenire sui contratti più deboli che si annidano soprattutto nel settore dei servizi e del terziario. Sappiamo che sotto soglia, ad esempio, abbiamo gli operai agricoli, i florovivaisti, le guardie giurate, i lavoratori domestici. Tutte categorie che andrebbero riportare a un livello salariale adeguato, anche con appositi incentivi.

La proposta dell’opposizione punta sui 9 euro all’ora, anche se alcuni come Sinistra italiana volevano una soglia più alta: viste le cifre del resto d’Europa, crede sia una cifra adeguata?

In Europa noi andiamo da poco più di 2 euro orari della Bulgaria ai 13 del Lussemburgo. Quindi, abbiamo chiaramente dei livelli diversificati e costruiti sulla situazione di ciascun mercato del lavoro. In Italia, i 9 euro, intendendo per minimo paga base e contingenza, sono già una realtà per quanto riguarda la prevalenza dei contratti stipulati, dai metalmeccanici ai chimici, dai bancari agli assicuratori. Ma al di sotto di quella soglia esiste tutta un’area relativa ai settori dei servizi: penso al commercio e alla ristorazione o all’alberghiero, che con il salario minimo sarebbero maggiormente tutelati. Credo quindi che, in primo luogo, occorra agire sui meccanismi contrattuali per evitare sia un loro logoramento, sia che l’adozione del salario minimo rappresenti una via di fuga per le imprese dalla contrattazione, che è ricca e complessa. Il salario minimo, insomma, è un punto di partenza.

Nella discussione si assiste al paradosso per cui Confindustria ha concesso aperture al salario minimo mentre i sindacati mostrano un certo scetticismo: che ne pensa?

Penso che occorra irrobustire la contrattazione, fissare un salario minimo per legge settore per settore e intervenire su quei settori che sono sotto soglia anche costituendo un osservatorio con le parti sociali in grado di monitorare i settori che sono al di sotto di uno standard accettabile e per aggiornare periodicamente l’andamento del salario minimo medesimo. Detto ciò, tra i sindacati ci sono delle posizioni diversificate così come tra le associazioni delle imprese. Confindustria si sente maggiormente al riparo perché i suoi contratti sono già all’interno di questi standard. Più in difficoltà sono i contratti di altri settori più poveri e più deboli. Ribadisco: a mio avviso la via del salario minimo è utile e necessaria, e la sua applicazione deve anche prevedere il coinvolgimento delle parti sociali, che devono essere un soggetto attivo nella sua definizione.

Il governo sta anche riformando il reddito di cittadinanza, con l’obiettivo di eliminarlo quasi del tutto nei prossimi mesi: pensa che l’introduzione di un salario minimo possa disincentivare l’utilizzo del reddito di cittadinanza?

Quando parliamo di salari poveri dobbiamo sapere che la loro condizione è data da molti fattori: il primo può essere che in un contratto il salario sia di per sé insufficiente, come nel caso delle guardie giurate; ma un salario insufficiente può essere dato anche dal fatto che può avere una parte in nero. In molti casi ci sono poi orari corti, part time imposti, e orari corti significano salari corti. I fattori sono molteplici, ma non vi è dubbio che la concorrenza tra reddito di cittadinanza e offerta di lavoro è data anche dall’insufficiente qualità del lavoro offerto e dalla sua retribuzione, che può portare a preferire un reddito senza lavoro piuttosto che un lavoro pagato in modo miserevole. Quello che il governo non vuole capire è che purtroppo, come rilevato dall’Istat, una parte importante di coloro che lavorano sotto contratto è oggi da ritenersi povera. Quindi è evidente che esiste una inadeguatezza salariale per le cause di cui ho parlato e si annida soprattutto in determinati tipi di attività più stagionali, di bassa qualifica e saltuarie.

Eppure i dati sul lavoro sono positivi e a partire da questo mese assisteremo al taglio del cuneo fiscale, anche se a tempo: come giudica l’azione del governo su temi del lavoro?

C’è più lavoro e più fragilità. Credo che non possiamo, da una parte, diminuire il cuneo fiscale di altri quattro punti, e condivido questa scelta, ma solo per cinque mesi, e dall’altra parte rendere più facile l’accesso ai voucher proprio nei settori sottopagati e ai contratti a termine. Non possiamo non vedere l’aumento della insicurezza nel mondo del lavoro e nella società in generale e, al tempo stesso, diminuire la protezione per i poveri. Mi pare che, da parte del governo ci sia, nelle scelte, un andamento contraddittorio che non affronta il nodo di fondo: avere un sistema contrattuale forte per far sì che la competitività delle imprese si basi sulla qualità del lavoro.