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Quello che neppure lo Sean Penn di Dead man walking ci aveva aiutati a capire, è che nel braccio della morte si impazzisce. Chi sa di dover essere giustiziato e che ogni minuto è un passo verso la sedia elettrica, perde la testa, o nella migliore delle ipotesi diventa un vegetale. Lo ha colto e illustrato con rara sensibilità il vignettista newyorkese Patrick Chappatte, che con sua moglie Anne-Frédérique Widmann ha pubblicato uno straordinario reportage illustrato sul New York Times. Si tratta di una serie di tavole a fumetti i cui protagonisti sono i pochi detenuti nel braccio della morte che hanno risposto allappello degli autori. Ne viene fuori uno spaccato del sistema concetrazionario americano e delle sue logiche punitive davvero impressionante. Rispetto ai tremila destinatari della newsletter inviata da Chappatte nei bracci della morte, solo trenta reclusi si sono detti disponibili a collaborare. Hanno raccontato la propria storia e messo a nudo ossessioni, paure e sentimenti, che accompagnano il percorso di un condannato alla pena capitale. Il racconto a fumetti è sviluppato in cinque puntate e, dopo essere stato anticipato online, è uscito anche sul cartaceo. Chappatte e sua moglie hanno verificato che larte è uno dei pochi strumenti con cui questi condannati riescono a tenersi davvero in vita. Uno di loro ha detto: Voi dite che fino a quando cè vita cè speranza; per me vale il contrario, fino a quando cè speranza cè vita.