«Stavolta hanno esagerato». le voci del Quirinale spiegano così la mossa del capo dello Stato che in questa occasione non si è limitato ai moniti e neppure a quelle trattative spesso anche tese che hanno costellato il rapporto tra governo e Colle sin dall'inizio. Mattarella, invece, ha fatto sapere al di là di ogni possibile dubbio che decreti palesemente privi dei requisiti di necessità urgenza non li firmerà. La partita è ancora in corso. Il decreto sulla casa di Salvini, previsto per oggi al Cdm, è slittato sino a venerdì. Gli altri testi che il governo intendeva varare di qui al 9 giugno arriveranno in ordine sparso. Ma non tutti e non nella formulazione immaginata all'inizio del governo: perché dopo aver comunicato il suo semaforo rosso, per una volta direttamente e non per il solito tramite degli uffici legislativi del Colle, il presidente non potrebbe accettare tentativi di aggirare il suo ordine.

Cosa spinge Mattarella a un intervento per lui inusuale? Non che fibrillazioni e scontri siano mancati in questi mesi. Quel che il Quirinale rimprovera alle forze di maggioranza è la decretazione d'urgenza senza alcuna urgenza, ma anche la tendenza a proporgli decreti disomogenei, con dentro di tutto, e quella a modificare i decreti in fase di conversione inserendo di soppiatto nuove voci mai sottoposte al vaglio del Quirinale. Si tratta, in tutti i casi, di astuzie studiate per aggirare e di fatto ignorare i limiti che dovrebbero circoscrivere la decretazione d'urgenza.

Il Colle non ha lasciato perdere, come potrebbe sembrare a prima vista. È intervenuto più volte, gli uffici legislativi hanno chiesto modifiche, spostamenti di alcune, a volte hanno dettato correzioni. Sulla decretazione d'urgenza, insomma, è in corso un braccio di ferro vecchio come la legislatura, del quale i moniti ufficiali del presidente sono solo la punta emergente e visibile.

Ma se non ha fatto finta di niente, il presidente è stato in compenso molto attento a evitare tensioni troppo vistose e poco controllate. Mattarella resta fedele alla linea di condotta che ha deciso di adottare quando il governo Meloni si è formato: evitare scontri diretti, mettere la massima cura del non apparire mai nemico del governo. È una linea dettata da diverse considerazioni: prima di tutto l'interesse del Paese, che secondo il capo dello Stato verrebbe compromesso da uno scontro istituzionale ai massimi livelli, in secondo luogo la consapevolezza che solo difendendo rigorosamente il suo essere al di sopra delle parti avrà, anzi ha e ha avuto in questi mesi, la possibilità di intervenire nei casi più clamorosi. La raffica di decreti elettorali che il governo aveva in mente di qui al 9 giugno sono appunto uno di quei casi. Troppo sfacciati e sfrontati, in alcuni casi e in alcune voci troppo apertamente privi dei requisiti di necessità e urgenza.

Solo per questo stavolta Mattarella ha minacciato senza perifrasi di non firmare i decreti e se le sue indicazioni non saranno rispettate è deciso a farlo davvero. La fermezza di Mattarella in questa occasione, insomma, non significherebbe che il presidente ha deciso di porre fine una volta per tutte all'abuso della decretazione d'urgenza che più di ogni altra cosa ha portato allo svuotamento di ogni ruolo del Parlamento, tanto più che la decretazione si accompagna molto spesso al voto di fiducia e la tagliola basta a trasformare il Parlamento in un'assemblea incaricata di votare a comando e poco di più. Ma è un'involuzione che data da decenni e alla quale hanno alacremente contribuito tutti. Il presidente, pur avendo più volte fatto sapere cosa ne pensa, non si illude di poter invertire drasticamente la marcia. Intende però evitare che la deriva prosegua peggiorano e calmierare per quanto possibile l'involuzione che ha già reso l'Italia una Repubblica parlamentare solo di nome e non più di fatto.

Tuttavia è impossibile evitare la sensazione che l'irrigidimento del Colle sia in qualche misura e per diverse ragioni collegato alla riforma costituzionale sulla quale proprio oggi il Senato inizierà a votare. Il dibattito e lo scontro su quella riforma, per quanto l'opposizione abbia deciso di puntare quasi tutto sul ruolo del presidente dimezzato dalla riforma e di tenere invece in sordina il colpo di grazia che il premierato infliggerà al Parlamento, portano inevitabilmente sotto i riflettori quel guasto strutturale: non a caso l'interlocuzione tra Luciano e Violante e la premier che è stato al centro del Convegno sul premierato al Senato un paio di settimane fa. Ed è inevitabile che il presidente in questa situazione voglia lasciar correre anche meno del solito. Inoltre è evidente che, se non dirà nulla sulla riforma in sé, Mattarella è deciso a dimostrare nei fatti quale e quanto importante sia il ruolo di garanzia del Quirinale, quello che verrebbe profondamente leso dalla riforma se fosse approvata. Lo ha fatto in diversi modi negli ultimi mesi e forse questo intervento sui decreti è il più incisivo e determinato. E se l'intenzione di Mattarella è mostrare cosa significhi il ruolo che la Costituzione assegna al capo dello Stato, questo intervento non sarà l'ultimo e forse neppure il più drastico.