Che Matteo Renzi attacchi l'Europa non è una novità. Ma il modo scelto: direttamente nell'aula di Montecitorio; il tema individuato: la drammatica questione degli immigrati e delle quote di assorbimento che alcuni Paesi rifiutano pur avendo preso i relativi finanziamenti; e infine il contesto nel quale lanciare goli attacchi: alla vigilia dell'affondo di Massimo D'Alema contro «il minaccioso blocco politico» rappresentato dal fronte del Sì, assegnato alla scelta del premier una valore politico specifico. Uno, soprattutto: riprendere saldamente in mano il timone dell'attività di governo, lasciando sullo sfondo l'infinita diatriba interna al Pd che induce stanchezza e rifiuto negli elettori.Ecco dunque l'affondo contro «il frenetico immobilismo» della Ue che invece di smussare assomma gli egoismi nazionali e dunque lascia sola l'Italia (assieme alla Grecia) ad affrontare l'esodo migratorio. Vale per l'ex blocco dei Paesi dell'Est, esperti soprattutto nella costruzione di muri. Vale per la Germania, che ha ottenuto il via libera comunitario per l'accordo a suon di miliardi di euro con Erdogan per drenare il flusso di profughi dalla Siria che transitano per la Turchia, ma ora mette i tappi nelle orecchie dinanzi alle più che giusitificate richieste italiane alle prese con la molle frontiera del Mediterraneo. I riconoscimenti di Junker riguardo la «generosità che ha permesso di salvare tante vite» di Roma e Atene fa piacere. Ma ora dalle parole bisogna passare ai fatti, obbligando ciascun Stato membro a prendersi la sua responsabilità senza sottrarsi ai doveri che l'appartenenza alla Ue comporta.Sullo sfondo, naturalmente, resta il braccio di ferro con Bruxelles riguardo la flessibilità sul deficit. Ballano alcuni decimali ma anche qui la questione è di principio: rovesciare l'impostazione rigorista di Berlino a favore di una gestione dei bilancio più espansiva e più orientata alla crescita.Tattica che comporta mosse complicate, seppur obbligate. Vero è che l'Europa è un facile terreno di raccolta di consenso, visto che l'Unione gode di uno scarsissimo livello di popolarità. Vero anche che è un partita da giocarsi sul filo del rasoio: criticare Bruxelles va bene; fino al punto di spezzare il filo del dialogo, no.Tattica complicata anche perché il capo del governo italiano ha potuto toccare con mano che la narrazione che tanto fascino ha prodotto entro i confini nazionali, fuori calamita assai meno. Ventotene è stata bruciante: molta enfasi sullo spirito europeo trasmesso dai padri fondatori comunitari; risultati concreti vicini - o meglio pari - allo zero.Eppure Renzi sa bene che il binomio difficoltà-obbligatorietà è una tenaglia alla quale è impossibile sottrarsi. Il via libera Ue sullo sforamento dei vincoli del fiscal compact è decisivo ai fini della legge di Stabilità che a fine settimana palazzo Chigi varerà per presentarla poi alle Camere. Non conteggiare le spese per il recupero delle zone terremotate fa parte della disponibilità dell'Unione. Ma aggirare le norme per allargare un po' più i cordoni al fine di trovare le risorse per pensioni e diminuzioni fiscali è altra cosa. Si spiega così il duro botta e risposta tra il ministro Padoan e gli uffici di bilancio.Ma se il disegno del quadro rimane incerto, ciò che più inquieta è che pure la cornice traballa. Tradotto: in una campagna elettorale referendaria così stiracchiata (ancora quasi due mesi prima del voto) è inevitabile che ogni iniziativa del premier venga letta con gli occhiali della strumentalità ai fini del risultato delle urne. Così, nel gergo delle opposizioni, gli interventi per i più deboli diventano «mance»; il confronto con l'Europa «una manfrina» eccetera, eccetera. E anche il dibattito di Montecitorio invece di rilanciare l'immagine di una Paese unito e coeso nel reclamare il raggiungimento di obiettivi che sono di interesse generale, trasmette la fotografia di divisioni e lacerazioni tra le forze politiche. Non precisamente il viatico migliore per una trattativa comunque difficile.Tant'è. Renzi sa di doversi giocare le carte su un piano inclinato. I sondaggi restano di difficile interpretazione: il No è in vantaggio e l'esercito degli indecisi è ancora enorme. Gli schiaffoni alla Ue possono risultare utili ai fini di attrarre adesioni dalle file del centrodestra. E più ancora i punti in comune rtilanciati dal Comitato del Pd per il Sì tra la riforma costituzionale targata Renzi e alcune proposte del Pdl. Ma potrebbe anche non bastare. O no?