Fulgido esempio, in negativo, di democrazia e di rispetto delle libertà individuali quello andato in scena martedì mattina al Pirellone. Erano anni, infatti, che in un’assemblea legislativa non si assisteva a manifestazioni del genere. Mancava solo il cappio, come quello mostrato in Parlamento nel 1993 dal leghista Luca Orsenigo.Era il giorno del ritorno nel consiglio regionale lombardo di Mario Mantovani, l’ex assessore azzurro alla Sanità della giunta di Roberto Maroni, arrestato lo scorso 13 ottobre con l’accusa di corruzione. Dopo oltre sei mesi di custodia cautelare in carcere era stato rimesso in libertà a causa di un ritardo nel deposito delle motivazioni, da parte del Riesame, su un’istanza presentata dal suo difensore, l’avvocato Roberto Lassini. Appena entrato in aula, però, i grillini hanno occupato i banchi della presidenza srotolando uno striscione con scritto “Onestà” e inscenando una protesta violentissima con urla e grida che, di fatto, ha impedito al presidente dell’assemblea Raffaele Cattaneo (Ncd) di aprire la seduta e di dare la parola a Mantovani.«Avete visto come sono andate le cose, mi è stato impedito di parlare. Ma la democrazia ha i suoi tempi, aspetteremo». Così Mantovani ha commentato quanto successo. Avrebbe dovuto parlare per cinque minuti, come indicato sul calendario dei lavori, in base ad una norma del regolamento che concede la facoltà per questioni personali. «Cinque minuti non di più», aveva sottolineato il presidente, ma alla fine Mantovani non è riuscito ad aprire bocca: la reazione feroce dei cinquestelle ha costretto Cattaneo a sospendere i lavori e a far intervenire la Digos. Diversi i consiglieri grillini espulsi. Solo nel pomeriggio, ristabilito l’ordine in aula, Mantovani ha potuto leggere il suo breve intervento con cui ha protestato la sua innocenza e la correttezza del proprio operato.Strano modo, verrebbe da dire, quello di concepire il rispetto della legge da parte dei seguaci di Beppe Grillo. Mentre a Livorno, infatti, il locale assessore al Bilancio, il grillino Gianni Lemmetti, indagato per falso e bancarotta nella gestione dello smaltimento dei rifiuti, respinge a testa bassa le richieste di dimissioni che gli piovono addosso dagli avversari, i suoi colleghi in regione Lombardia impediscono fisicamente a Mantovani di proferire verbo. Qual è la differenza fra Lemmetti e Mantovani? Nessuna. Entrambi accusati di reati contro la pubblica amministrazione, ad oggi, sono persone incensurate, non essendosi celebrato a loro carico alcun processo. Per l’articolo 27 della Costituzione sono innocenti. A dirla tutta, una differenza c’è. E non è da poco. Mentre Mantovani è stato arrestato in diretta televisiva, a Melletti è stato notificato, in maniera discreta, un avviso di garanzia. Fatto che dovrebbe suggerirgli l’accensione di un cero. I suoi colleghi lombardi, invece, sembrano assumere comportamenti che ricordano lo squadrismo dei primi anni Venti del secolo scorso. Anche all’epoca c’era chi impediva fisicamente all’avversario politico di esprimere le proprie idee. Basterebbe ricordarsene.