«In questi giorni ci vedete impegnati in un dialogo non semplice per proporre i presidenti del Senato e della Camera». Il lavoro di tessitura del Movimento 5 Stelle prosegue senza sosta. I grillini hanno già espresso con gli altri gruppi il desiderio di accaparrarsi la poltrona più blasonata di Montecitorio. Ma non è una questione di seggiole, assicurano, «quello che ci preme è che il Parlamento funzioni al meglio», prova a spiegare Luigi Di Maio, «perché è lì che si decidono le leggi che possono migliorare o peggiorare la qualità della vita di tutti, è lì che le forze politiche devono dimostrare il proprio valore e la propria coerenza». Ottenere la presidenza della Camera, insistono i 5 Stelle, consentirebbe di mantenere una promessa fatta ai cittadini in campagna elettorale: l’abolizione dei vitalizi. «Il prossimo obiettivo è abolire i vitalizi. Qualche mese fa siamo arrivati a un passo dall’eliminarli, e ora vogliamo andare fino in fondo», è il ragionamento dell’aspirante premier pentastellato. «Gli uffici di Presidenza regolano la vita dei parlamentari. Possiamo agire direttamente sul bilancio della Camera, e un Presidente del MoVimento 5 Stelle spianerebbe la strada a questo traguardo».

Il vero traguardo raggiunto dal M5S è però la spaccatura del fronte del centrodestra. Proprio a partire dalla partita delle presidenze, Matteo Salvini e Silvio Berlusconi sembrano ormai ai ferri corti. I forzisti mal sopportano le trattative solitarie della Lega su Palazzo Madama e tollerano ancor meno il flirt del Carroccio con i grillini. E anche se Salvini prova a sminuire le tensioni tra alleati, il nervosismo degli azzurri è difficile da nascondere. I berlusconiani non accettano di rinunciare a priori al Senato e insistono nel proporre il nome di Paolo Romani. «Salvini non è il leader del centrodestra, è semplicemente il leader del partito che all’interno del centrodestra ha avuto più voti e che, sulla base delle regole che ci siamo dati, ha il compito di fare, se riusciremo a farlo, il governo», dice stizzito Renato Brunetta, che sogna ancora un incarico alla coalizione vincente, sostenuta dal Partito democratico. «Non si può marginalizzare un partito come il Pd che comunque è il secondo più votato alla Camera», spiega il presidente dei deputati azzurri. «Auspico invece che il Pd sia un attore fondamentale di questa fase politica e credo che non possano tirarsi fuori».

Ma i democratici, al momento, non sembrano convinti di entrare a far parte di una qualsiasi maggioranza. A meno che non si tratti di un esecutivo “Mattarella” con dentro tutti i partiti. «Il voto degli italiani ha stabilito la nostra posizione. Lavoreremo dall’opposizione» , dice il reggente dem Maurizio Martina. «Non saremo indifferenti a ciò che dirà Mattarella, ma il nostro compito è prepararci a essere minoranza parlamentare e da lì dare un contributo al Paese». E contrario a «finte alchimie» si definisce anche il ministro dello Sviluppo economico e neo iscritto al Pd Carlo Calenda. «C’è una chiara indicazione degli elettori, che hanno votato M5s e Lega», afferma. «Misurarsi con il governo è importante per loro e salutare per il Paese. Appoggiare un governo M5s sarebbe folle per noi».