È il giorno del Def, il primo firmato dal governo Meloni che ha sì varato già una legge di bilancio ma preparata già dell'esecutivo precedente: se non è un battesimo del fuoco poco ci manca. La logica che ispira Giorgetti e Meloni, peraltro, è identica a quella che faceva da bussola all'ultima finanziaria di Mario Draghi: prudenza e massima cautela. La previsione di crescita sarà un po' più rosea di quanto ipotizzato nel novembre corso. Non più lo 0,6 per cento in più ma lo 0,9 con ottime probabilità di toccare l' 1 per cento reale. Rivisto lievemente in meglio anche il rapporto deficit/ Pil: dal 4,5 per cento al 4,35. Le cose vanno dunque un po' meglio del previsto, come certificato da Bankitalia che ha registrato la settimana scorsa segnali di ripresa, sia pur moderata. Il governo dovrebbe avere così a disposizione alcune risorse in più per la legge di bilancio e la previsione unanime è che saranno convogliate verso la riforma fiscale.

Sin qui le note positive. Non mancano però quelle negative e, pur trattandosi al momento solo di rischi, le voci inquietanti sono talmente numerose da impedire i festeggiamenti per i conti al momento migliori del preventivato. L'inflazione, per esempio, è in calo e si sa che nulla è più temuto dalla Ue dell'inflazione. Merito del calo del prezzo del gas, ma a fronte di questa tendenza positiva pesa l'ombra del taglio della produzione dei petrolio deciso dall'Opec, che si tradurrà immediatamente in aumento dei prezzi e dunque, forse, anche dell'inflazione.

La voce più allarmante è il Pnrr. Domani il ministro Fitto dovrebbe illustrare al Senato la strategia del governo per supplire a una marcia tanto lenta da rendere certa l'impossibilità di raggiungere tutti gli obiettivi previsti. Le giustificazioni addotte dal governo non sono solo alibi: la situazione, tra guerra in Ucraina e inflazione al galoppo, è davvero molto diversa da quella che era quando il Piano fu messo a punto. Bruxelles, peraltro, ha adottato una linea morbida, flessibile e molto dialogante.

Roma ha ottime ragioni per sperare che la commissione accetti una “rimodulazione” del Piano abbastanza drastica, con alcune opere cancellate, altre spostate nella Coesione per guadagnare tre anni di respiro rispetto alla scadenza del giugno 2026 fissata per il Pnrr, altre ancora spostate dalla Coesione stessa e dal RePowerEu al Pnrr per non dover rinunciare a parte dei fondi, come adombrato dai capigruppo leghisti con massima irritazione di palazzo Chigi.

Certo, per farcela i ministeri dovranno accelerare il rapporto chiesto da Fitto a ciascun dicastero sullo stato delle singole opere in travaglio e non è affatto detto che ce la facciano entro la data fissata, il 20 aprile. Ma questo è ancora il meno: la vera nota stonata è che le difficoltà oggettive non esauriscono il catalogo dei guai del Piano e non c'è gioco delle tre cartine che possa supplire al problema numero uno secondo il Mef: una Pa inadeguata al titanico compito. Già oggi la spinta del Pnrr sulla ripresa è decisamente inferiore al previsto. Senza una ripartenza in piena regola la ricaduta negativa sulle previsioni che verranno oggi messe nero su bianco nel Def sarebbe certa.

Ma il fronte più insidioso non dipende dai conti e dalla capacità di risolvere i problemi da parte del governo. È una faccenda europea che riguarda però prima di tutti l'Italia. Il “non paper” presentato dalla Germania come proposta per le nuove regole da adottare nella Ue, dopo quell'epoca Covid che per i tedeschi deve restare solo una parentesi, segnalano un ritorno in grande stile del rigorismo. Prima di tutto la Germania boccia l'ipotesi della Commissione di regole modulate a seconda delle diverse condizioni dei singoli Stati. In secondo luogo chiede un rientro dal debito in misura pari all' 1 per cento annuo, il doppio esatto di quanto ipotizzato dalla Commissione. Se applicate alle cifre del Def italiano, con lo 0,9 per cento di crescita, quella regola si tradurrebbe in una totale impossibilità di spesa.

Quella di Berlino è solo una proposta, sia pur avanzata dal Paese con più peso specifico dell'Unione. È possibile che il prossimo 26 aprile Gentiloni presenti la proposta della Commissione, che sarà certamente meno rigida di quella tedesca e i due progetti diventeranno pertanto oggetto di trattativa alla ricerca di una mediazione. Ma resta il fatto che la richiesta esplicita di tornare al rigore, da parte del Paese leader della Ue, per l'Italia è una pessima notizia.