Tav, Venezuela e, soprattutto, caso Diciotti. Per la prima volta in otto mesi la maggioranza giallo- verde mostra i primi veri segni di incompatibilità. Il contratto di governo non è concepito per affrontare gli imprevisti e in alcuni casi non sembra neanche così vincolante da obbligare le parti a rispettare gli accordi sottoscritti. E per non rimanere isolati, Luigi Di Maio e Alessandro Di Battista volano a Parigi con un unico scopo: cercare nuovi alleati in vista delle Europee. Il Movimento 5 Stelle vuole capitalizzare il lavoro svolto nelle ultime settimane con i movimenti francesi e sfruttare il “brand” dei gilet gialli da sventolare alle prossime elezioni. Il vice premier e Dibba non vogliono farsi sfuggire l’occasione e incontrano Christophe Chalencon, uno dei leader delle proteste parigine. «Sono molte le posizioni e i valori comuni che mettono al centro delle tante battaglie i cittadini, i diritti sociali, la democrazia diretta e l’ambiente», spiega Di Maio, nelle stesse ore in cui un altro francese, di un altro schieramento, il lepenista Jordan Bardella, definisce Salvini «un modello».

Anche oltralpe, dunque, i soci di governo trovano spunti per dividersi. Come se ce ne fosse bisogno, nel giorno in cui la Giunta per le immunità fa sapere che nel corso della seduta convocata per giovedì mattina verrà presentata la famosa memoria del ministro dell’Interno sulla vicenda dei 177 migranti trattenuti a bordo della nave Diciotti nell’agosto scorso. Il fatto che anche Di Maio, Conte e Toninelli presenteranno un documento analogo per “scagionare” Salvini non placa affatto i malumori interni al Movimento 5 Stelle per la vicenda. La vecchia guardia grillina considera impensabile negare ai magistrati la possibilità di processare un ministro, pur consapevole della possibile rottura con la Lega che ne scaturirebbe. Ne hanno discusso a lungo ieri i senatori M5S, riuniti nella sala Koch di Palazzo Madama, senza tuttavia arrivare a una sintesi. Le argomentazioni utilizzate da Michele Giarrusso e Francesco Urraro non sono bastatae a convincere i colleghi a considerare questa autorizzazione a procedere diversa da tutte le altre. «Non si può distinguere caso per caso, perché altrimenti si entra nel merito delle situazioni e non è questo quello che bisogna fare. Ci si difende nel processo e non fuori dal processo. E respingere la richiesta di procedere del tribunale dei ministri smentirebbe la storia della nostra opposizione parlamentare ed extra parlamentare», bisbiglia a denti stretti qualche parlamentare ortodosso. E per capire gli umori delle truppe nelle prossime ore il capo politico del Movimento dovrebbe incontrare per una seconda volta i senatori pentastellati membri della Giunta per le Immunità. La questione arriva a ridosso di troppi appuntamenti elettorali ( oltre alle Europee ci sono in ballo anche le Regionali in Abruzzo, Sardegna e Basilicata) per essere presa sottogamba. Meglio allora chiedere un parere direttamente alla base, come si faceva un tempo per legittimare ogni decisione importante del partito nato sul web, suggerisce qualcuno. Ma lo strumento referendario potrebbe riservare spiacevoli sorprese per chi punta a non creare fratture con la Lega e sono in tanti a sconsigliarne il ricorso. A differenza degli elettori del Movimenti, i soli iscritti potrebbero essere ancora legati ai principi originari del grillismo e votare di conseguenza sì al processo a Salvini sulla piattaforma Rousseau. «Andrò in Senato a testa alta perchè ho difeso la sicurezza, gli interessi del mio paese, i suoi confini combattendo gli scafisti, gli amici degli scafisti, i trafficanti di droga, di uomini», ribadisce intanto il leader del Carroccio. «Al Senato spiegherò cosa abbiamo fatto tutti insieme per difendere il decoro del nostro paese. Il Senato deciderà secondo coscienza, rispetterò qualsiasi decisione venga presa», dice, forte anche della “consulenza tecnica” ricevuta da un’avvocata di altissimo spessore: la ministra della Pubblica amministrazione Giulia Bongiorno.

E mentre gli alleati riflettono sulla Diciotti, il ministro dell’Interno trova occasione per pungolarli su altri fronti aperti, come la Tav. Salvini non passare per il ministro di un governo dei no e lancia continue frecciate ai cinquestelle sulle grandi opere. «Non rispondo alle polemiche, agli insulti, costruisco, perché non mi pagano lo stipendio per disfare», è il primo dardo all’indirizzo di Alessandro Di Battista. «L’Italia ha bisogno di più opere, più strade, ferrovie, meno inquinamento, più energia, la Sardegna ha bisogno di metano, c’è bisogno di viaggiare più velocemente in treno, sono convinto che il buon senso alla fine prevarrà», è la seconda bordata all’indirizzo di tutto il M5S.

Ma le distanze tra alleati non finiscono qui. Anche sulla crisi venezuelana, Lega e 5Stelle hanno idee totalmente diverse. Se per i grillini frenano sul riconoscimento dell’autoproclamato presidente Juan Guaidò, per Salvini «Maduro è fuorilegge che affama, incarcera e tortura il suo popolo». Ma di questo passo sarà difficile continuare a stare insieme a lungo.