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Alzi la mano chi non è d'accordo: «Ci sono dei momenti in cui le divisioni politiche contano zero e si lavora tutti nella stessa direzione», ammonisce Matteo Renzi. Impossibile dargli torto. Anzi, sono proprio i passaggi più drammatici quelli in cui si misura la tempra e la coesione di una comunità. Dunque bene fa il presidente del Consiglio a richiamare ciascuno al rispetto del proprio ruolo, e le forze politiche vanno messe in prima fila con lo scopo di dare il buon esempio. Da questo punto di vista, senz'altro positivo è il sostengo che arriva da Beppe Grillo («Siamo disponibili a collaborare e a proporre soluzioni per aiutare le popolazioni»), dal centrodestra e da Sinistra Italiana. Per inquadrare politicamente i fatti, è dunque giustificato rilevare che, alla vigilia della prova referendaria, la tragedia che ha sconvolto ancora una volta il martoriato centro Italia determina una "pax sismica" - che poi però sarebbe meglio definire pace armata - in grado di mettere le ali all'azione di governo di Renzi: un ottimo viatico per riguadagnare consensi e gradimento.Quanto durerà la bonaccia? Difficile dirlo. Tuttavia è chiaro che affinché non affondi tutto nella retorica con, in quel caso, inevitabli contraccolpi negativi, è necessario che la gestione dell'appeasement sia all'altezza delle necessità e delle aspettative. Sotto questo profilo, a dirla tutta, qualche crepa già si intravede. L'affondo di Grillo, per esempio, non ha avuto seguiti. Mentre dal resto delle opposizioni arrivano altolà: va bene essere disponibili però il premier deve discutere con noi le mosse da fare, dicono sia Brunetta che Scotto. Insomma una sorta di cogestione («Renzi non può pensare di fare sempre tutto da solo», attacca il capogruppo forzista a Montecitorio) che però sembra lontana mille miglia dai pensieri e dalle modalità operative del presidente del Consiglio. Giorgia Meloni taglia corto: se il premeir chiede unità, «la smetta con la politica dell'immigrazione incontrollata». E' per questo se di pace si vuole parlare, bisogna aggiungere che è sicuramente avvolta nella diffidenza.Non c'è dubbio che la ricostruzione post-sismica rappresenterà per palazzo Chigi la priorità delle prossime settimane. Non l'unica. Connessa e per molti versi intrecciata è anche la querelle con l'Europa sui conti pubblici. La Ue ribadisce che le spese per le calamità naturali è già previsto non rientrino nei vincoli del fiscal compact. Il governo italiano va assai più in là: i finanziamenti per la ricostruzione devono essere parte integrante di un'inversione di tendenza che porti a privilegiare lo sviluppo e i relativi stanziamenti. Due linguaggi molto differenti, che allo stato producono una ostentata e reciproca sordità e freddezza di rapporti riguardo i criteri guida della manovra presentata da Roma a Bruxelles, e da questa se non rispedita al mittente, quasi. Infatti la Commissione europea sembrerebbe tutt'altro che convinta dei chiarimenti inviati, su precisa richiesta degli eurocommissari, dal ministro Padoan. E al di là dell'aridità delle cifre, si fa notare che ciò che maggiormente ha indispettito gli inquilini di palazzo Berlaymont è stato il tono della replica italiana. Schermaglie. Che non promettono nulla di buono.E poi, ma non certo ultimo d'importanza, ad angustiare Renzi e produrre fibrillazioni c'è il confronto interno al Pd sul referendum. Il No rimane in testa nei sondaggi e la manifestazione di sabato scorso a piazza del Popolo a Roma non è apparsa - neanche ai più ottimisti - in grado di produrre la scintilla valida a spingere il ristagnante oceano di indecisi verso il Sì. Sembra che il premier adesso stia vagliando una nuova strategia volta a garantirsi un apporto più consistente del mondo di sinistra. Però è rimasta nelle orecchie di tanti l'affermazione, compiutamente renziana, secondo cui la consultazione popolare si vince a destra. Un mutamento di rotta così netto a una manciata di settimane dall'apertura dei seggi si configura per forza di cose come un azzardo. Come tutti sanno, in ballo c'è la modifica dell'Italicum. Al Nazareno, la commissione di saggi è al lavoro: in tanti prevedono un buco nell'acqua. La sinistra dem non si fida di Renzi, nè ha voglia di offrire proprio ora aperture di credito. Neanche Renzi si fida della o delle minoranze interne: teme sgambetti non tanto per la guida del governo quanto per quella del partito. Il risultato è un infinito balletto di ombre sospettose. E' vero che il premier rischia a sinistra. Ma spendersi per un accordo su quel lato minaccia di far perdere sul fronte opposto, quello moderato. Che può immaginare di rivotare l'ex sindaco di Firenze come successo alle Europee, ma rimarrebbe interdetto se comprendesse di essere vittima dell'eterno giochetto dei due forni. In quel genere, il maestro insuperato è stato Giulio Andreotti. Renzi è un'altra cosa. Giusto?