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5S pronti all’assalto: tra comunicazioni in Aula sulla guerra e tensioni sull’inceneritore
Matteo Renzi, esperto in materia, profetizza che il 21 giugno sarà il giorno dell'arrembaggio al governo Draghi. Data non certo scelta a caso: il 21 giugno, infatti, Draghi renderà le proprie comunicazioni al Senato sulla crisi ucraina, alla vigilia del prossimo vertice del Consiglio europeo, in calendario due giorni dopo. In mezzo, il 22 giugno, il premier parlerà alla Camera. Trattandosi di comunicazioni e non di una semplice informativa, il dibattitto sarà concluso dal voto sulle risoluzioni e al momento un testo unico della maggioranza non c'è né sembra poterci essere. Enrico Letta è meno fosco del suo predecessore alla guida del Pd: prevede sì alta tensione ma è certo che non si arriverà alla crisi. A ogni buon conto, gli emissari del segretario stanno già martellando Conte per convincerlo a non andare oltre la presentazione di un odg grazie al quale puntualizzare la propria linea in materia di armi all'Ucraina uniformandosi però poi a una risoluzione unica della maggioranza. Nemmeno i 5S però restano con le mani in mano. La capogruppo al Senato Castellone sta infatti già preparando, per ogni evenienza, l'eventuale risoluzione pentastellata che probabilmente verrebbe votata anche da LeU e forse dalla Lega.
In sé la spaccatura della maggioranza sulle risoluzioni non implicherebbe problemi formali per il governo né per l'alleanza Pd- M5S, che Conte è deciso a difendere. Ma l'incidente sarebbe comunque molto grave. Draghi ne uscirebbe fortemente indebolito a livello internazionale. Nel Pd la corposa maggioranza che non vede l'ora di denunciare l'accordo con i 5S correrebbe alle armi. Insomma il guaio sarebbe di prima grandezza. La strada per evitarlo sembrerebbe facilmente percorribile. Se nella risoluzione comune di maggioranza non venisse proprio citato il capitolo armi molti ostacoli si smusserebbero senza conseguenze sulle scelte del governo. Fino al 31 dicembre, infatti il governo, in base al decreto votato in marzo, ha mano completamente libera in materia. Può decidere ciò che vuole sulla fornitura di armi senza bisogno di passare per il Parlamento. L'ostacolo è politico. Per Letta accettare un testo ambiguo o reticente sulle armi è uno scacco che gli verrebbe subito e pesantemente rinfacciato dalla fronda ostile all'accordo con i 5S. Per il leader dei 5S accontentarsi di un odg tanto per salvare la faccia senza rischiare niente potrebbe rivelarsi un rimedio peggiore del male in termini di credibilità e consenso.
Se il problema principale è a cinque stelle, neppure la destra della maggioranza è però un terreno del tutto saldo. Si sa che Salvini abbaia ma non morde e nessuno lo sa meglio di Mario Draghi che anche per questo evita puntualmente di infierire. L'incresciosa e un po' farsesca vicenda del viaggio in Russia potrebbe però modificare il quadro. Se Salvini arriverà all'appuntamento del 21- 22 giugno massacrato da un Pd che, comprensibilmente, mira a incassare i dividendi elettorali della clamorosa gaffe del leghista potrebbe rivelarsi più agguerrito e meno parolaio del previsto.
Ma le nubi di giugno non si limitano alla guerra e forse anzi la guerra non è neppure la minaccia più temibile per la maggioranza. Quando il dl Aiuti arriverà in aula i 5S sono decisi a votare contro anche con la fiducia se non sarà cancellata la norma sul termovalorizzatore a Roma. Per Conte si tratta di una trincea ancora più decisiva di quella delle armi all'Ucraina, anche perché in questo caso per il Pd sarebbe stato facile disinnescare in anticipo la mina con una formulazione più vaga sui poteri straordinari del sindaco di Roma, che i 5S erano pronti ad accettare.
Anche in questo caso la via per trarsi d'impaccio sembrerebbe segnata: basterebbe vitare di mettere la fiducia. Non è una scelta facile però: significa esporre un decreto sugli aiuti economici alla possibilità di emendamenti che inciderebbero sulla spesa in un momento particolarmente delicato, subito dopo il monito della commissione sul debito italiano. Con la campagna elettorale alle porte e una popolazione che inizia ad avvertire il morso della crisi pochi assumerebbero l'onere di bocciare emendamenti tesi ad aumentare i sostegni o a renderli strutturali. Rinunciare alla valvola di sicurezza della fiducia è dunque un rischio che Draghi non correrà a cuor leggero. Ma un no dei 5S con il voto di fiducia segnerebbe la fine della legislatura nel momento più critico. Per questo, tra termovalorizzatore e guerra, giugno promette di essere per Draghi il mese più difficile.