Prima l’attacco a Giorgia Meloni in Aula, durante il question time della presidente del Consiglio. Poi la risposta alle accuse di Giuseppe Conte, chiesta a gran voce dal partito e arrivate veementi, anche se con 24 ore di ritardo. Infine, un nuovo attacco, questa volta via social, all’inquilina di palazzo Chigi, sul caso di Ilaria Salis.

Il cambio di passo della segretaria del Pd Elly Schlein, almeno a livello comunicativo, avvenuto negli ultimi dieci giorni è fin troppo evidente per non accorgersene. Dopo quasi un anno dall’elezione al vertice del Nazareno, arrivata con le primarie dopo che i delegati del Congresso le avevano preferito il presidente dell’Emilia- Romagna Stefano Bonaccini, Schlein ha cambiato decisamente strategia, passando a un approccio ben più diretto nel rapporto con gli altri leader di partito.

«Sa chi c’era al governo nel 2009, quando si è deciso il blocco alle assunzioni dei medici? Lei, signora presidente», ha detto Schlein mercoledì scorso alla Camera puntando il dito contro Meloni, cercando, anche fisicamente, lo scontro personale e diretto con la leader di Fd’I. Concludendo poi l’intervento con la definizione di «regina dell’austerità» data alla presidente del Consiglio, rinfacciandole aumento delle tasse e tagli della spesa pubblica, soprattutto in materia sanitaria.

Passa appena una settimana e, giovedì scorso, sulla bacheca Instagram della leader dem compare un post, con un attacco contro Meloni di rara efficacia. «Orbán ha dichiarato che dopo le elezioni entrerà nei conservatori europei con Giorgia Meloni si legge - E Meloni lo accoglierà a braccia aperte, perché le sue non sono legate con le catene». Con tanto di hashtag # IlarisSalis. Il riferimento è al colloquio avvenuto poche ore prima tra la presidente del Consiglio e il premier ungherese avvenuto poche ore prima in un hotel di Bruxelles, dal quale Orbán è uscito spiegando l’entrata nell’Ecr di Meloni dopo le Europee. Nelle stesse ore aumentavano le polemiche sulle condizioni di detenzione della ragazza italiana in carcere a Budapest da quasi un anno, e sul trattamento a lei riservato durante l’udienza in tribunale, con tanto di catene a mani e piedi.

Da Meloni nessuna risposta, ma raramente si era visto un attacco così pungente da parte della leader dem, e capace di cogliere nel segno in pochi caratteri.

Tra i due episodi si è poi inserita la risposta a Conte, reo di aver definito il Pd «un partito bellicista» in risposta allo stupore esplicitato da Roberto Speranza sull’indecisione del leader M5S di scegliere tra Biden e Trump. Da mesi buona parte del partito chiedeva alla segretaria di rispondere per le rime all’ex presidente del Consiglio, che pur riconoscendo la necessità dell’alleanza con i dem in ottica futura, non risparmia un giorno sì e l’altro pure critiche al Pd. «Chi attacca più noi che la destra di governo ha sbagliato strada», ha detto Schlein accompagnata da dichiarazioni di altri esponenti dem dal sapore ancora più amaro. «Non accettiamo lezioni da chi non ha titoli per impartircene», ha detto su queste colonne Matteo Orfini, mentre per Lorenzo Guerini «il Pd è stato ed è dalla parte della difesa della libertà e della sovranità dell’Ucraina, dalla parte del diritto internazionale, senza esitazioni o ambiguità».

Ma Schlein ha attaccato Conte anche sulla Rai, accusandolo in sostanza di far parte dell’accrodo di maggiroanza per spartirsi le poltrone del servizio pubblico. Il ledaer M5S non sarà infatti al sit- in di mercoledì davanti alla Rai, definito «ipocrita», e il commento della segretaria dem non lascia spazio ad equivoci. «Evidentemente non sentono come noi il problema e l’urgenza di intervenire rispetto all’uso propagandistico che questo Governo sta facendo della pubblica informazione», ha scandito la leader del Nazareno.

Insomma, un cambio di paradigma che ha come orizzonte il confronto in tv con la presidente del Consiglio prima delle Europee, ma che proprio in vista del voto di giugno, dove si voterà con il proporzionale, coinvolge anche il leader M5S. E finalmente, almeno su questo, Schlein può dire di avere dietro la maggioranza del partito.