Alzi la mano chi, pur se magari detestando Matteo Renzi, non ha per un attimo pensato «da che pulpito» leggendo due giorni fa la tagliente battuta di D'Alema: «Non si può far cadere l'uomo più popolare del Paese per fare un favore al più impopolare». Reazione inevitabile: i punti di contatto tra i due ex premier ed ex segretari di partito sono vistosi. A partire dalla comune “antipatia” degenerata in vasta impopolarità e dovuta anche ai rispettivi caratteri. Vantano difetti affini, pur se non identici: la spocchia ineguagliata di D'Alema, la spavalderia spesso sconfinante in arroganza di Renzi.

Ma non ci sono solo le caratteristiche poco accattivanti a spiegare la corale diffidenza che circonda l'uno non meno dell'altro. Certo D'Alema, a differenza di Renzi con Letta, ha sempre negato di avere avuto un ruolo decisivo nella defenestrazione di Romano Prodi. Però nessuno gli ha mai creduto e meno di chiunque altro proprio il professore. È anche improbabile che il leader coi baffetti abbia proceduto a rottamare il predecessore con la formula non piena di tatto denunciata dal rottamato stesso: «Sei diventato obsoleto». Ma dato l'odio reciproco è probabile che il concetto, fraselogia a parte, fosse proprio quello e comunque l'esito non cambia. Certo, la medesima sorte sarebbe poi toccata alla Volpe del Tavoliere a opera del ragazzo di Rignano ma la strada la aveva indicata lui, cancellando ogni ricordo del segretario della svolta con piglio ereditato da quelli che sbianchettavano le foto dei dirigenti bolscevichi caduti in disgrazia dai funerali di Lenin. Tabula rasa ma un po' anche album di famiglia. Del resto se c'è una cosa che neppure i detrattori più incarogniti hanno mai negato ai due leader in questione è proprio l'abilità manovriera, la maestria tattica oppure, a voler guardare da altro punto di vista le medesime qualità, la propensione all'intrigo.

Non finisce qui. Entrambe le meteore sono state vittime di quella sorta di euforia degli abissi al contrario che colpisce spesso chi approda a Palazzo Chigi. D'Alema, dopo aver ripetuto per qualche mese, parlando di se stesso, che ormai «il presidente del consiglio è un valore aggiunto» se ne convinse al punto da giocarsi tutto in una tornata di elezioni regionali della quale si vantava di poter predire con precisione millimetrica gli esiti. I millimetri erano sbagliati, il referendum su se stesso si concluse con un Ko da manuali di storia della politica e D'Alema finì al tappeto.

Fuori da palazzo Chigi. La vertigine travolse una quidicina d'anni dopo anche Renzi, quando fu il suo turno di trasformare un referendum costituzionale in plebiscito fallito su se stesso.

Forse proprio perché, pur con tutte le notevoli differenze del caso i due si somigliano, si odiano tanto. Ma l'odio, come l'amore, in politica è sempre un consigliere da mettere alla porta e in fondo il crollo di Renzi si deve in parte proprio alla sua invincibile ostilità nei confronti dell'ex capo. Se, al momento di eleggere il capo dello Stato, non si fosse impuntato per bocciare l'accordo raggiunto da D'Alema e Berlusconi sul nome di Giuliano Amato le cose sarebbero andate molto diversamente. Senza la rottura con Berlusconi, provocata proprio dallo scontro sull'elezione del presidente e dunque, indirettamente dal reciproco rancore che vincola Massimo e Matteo, l'esito del referendum sarebbe probabilmente stato opposto. E la sorte del premier Renzi pure.

Non bisogna però neppure farsi troppo ingannare dal gioco dei caratteri somiglianti e dei pessimi sentimenti reciproci. Nella difesa a spada tra di Conte da parte del viticultore pugliese c'è molta politica, anche perché nessuno immagina che davvero D'Alema limiti la sua attività alla produzione di vini.

Nei mesi scorsi l'ex fondatore dei Ds si sarebbe spesso vantato di «dirigere il governo a distanza», in una sua personale declinazione della dad. Un po' è certo una di quelle esagerazioni che sono nel suo stile. Ma è vero che il filo diretto con Gualtieri, ex giovane dalemiano, non si è mai troppo liso e anche che col tempo è nato e si è sviluppato un rapporto diretto con Conte. I due pare si sentano spesso e che la Volpe dispensi anche in suoi saggi consigli. Forse disinteressatamente, giusto per il gusto di “dirigere a distanza”. Ma forse perché gli scissionisti di Articolo Uno una casa non l'hanno trovata, LeU è una baracca fatiscente, Zingaretti esita a riaprire i cancelli della sua villa Nazareno. Una Lista Conte- Speranza, con gli articolisti a fare da colonna vertebrale, sarebbe una soluzione quasi miracolosa.