Non sarà una prova facile quella di oggi per Giorgia Meloni, e il quadro internazionale in fiamme la rende ancora meno agevole. La parte del leone, però rischia di farla sempre lui Emanuele Pozzolo, il deputato armato di una pistola che somiglia a un giocattolo ma che minaccia di fare alla premier più danni di un cannone. L’episodio in sé era già molto spinoso. L’onorevole ha fatto il possibile per renderlo ancora meno maneggevole: ha impugnato l’immunità parlamentare, poi ha accettato di sottoporsi al tampone Stub, ma sembra con ore di ritardo. Ha concesso l’analisi sui vestiti ma si è rifiutato di consegnarli. Ha fornito una versione dei fatti, secondo la quale a sparare sarebbe stata la stessa vittima, che però pare contraddetta da un testimone. In breve: l’opposto della trasparenza.

Meloni sin qui non ha commentato e questo lascia pensare che si stia tenendo l’asso proprio per respingere le critiche, annunciando ai cronisti famelici la "autosospensione" dal partito di Pozzolo. Un passo necessario che non risolverebbe il problema che si è innegabilmente creato ma quanto meno bagnerebbe le polveri dei cronisti a caldo.

Sulle concessioni, però, non c’è colpo di scena che tenga. Il messaggio del capo dello Stato è stato chiaro e a rendere la faccenda molto più delicata c’è il fatto che si parla di ambulanti ma s’intende balneari. Un anno fa Mattarella aveva avanzato gli stessi appunti sulla proroga per i balneari, il governo non lo ha ascoltato e l’ombra della procedura d’infrazione è ormai quasi una certezza. La lettera è stata inviata a metà novembre e come di consueto dà all’Italia due mesi per presentare spiegazioni accettabili della scelta di contravvenire alla direttiva Bolkenstein, passati i quali, se le spiegazioni non saranno ritenute sufficienti, scatterà la procedura. I due mesi scadranno il 16 gennaio. L’Italia sta cercando di trattare per arrivare a una formula di mediazione che permetta di adeguarsi alla direttiva della Ue senza entrare in rotta di collisione con i balneari e con la Lega che ha messo sulle corporazioni minacciate il proprio cappello.

La sceneggiata si ripeterà con gli ambulanti. In privato gli esponenti della maggioranza ammettono candidamente che 12 anni di proroga delle concessioni sono poca cosa. Al Colle e a Bruxelles lo stesso lasso di tempo sembra uno sproposito. La premier però non intende lasciare quella bandiera nelle mani della Lega, anche a costo di aumentare la tensione con Bruxelles, già elevata dopo lo strappo con il Mes, e anche con il Colle. In termini di voti quelle corporazioni hanno un peso limitato, ma come bandiera, almeno secondo i leader della destra, il peso è decisamente maggiore.

“Non possiamo lasciare quello spazio alla Lega”, spiegava dopo l’affondo di Mattarella un eurodeputato tricolore e la Lega non ha alcuna intenzione di mostrarsi accomodante. Un alto esponente del governo ammette che potrebbe essere inevitabile un intervento nella direzione indicata dalla Ue e dal presidente. Ma non subito. In giugno. Insomma dopo le europee. A quel punto però la procedura per i balneari potrebbe essere già scattata.

Meloni, insomma, dovrà tenersi in equilibrio tra esigenze opposte, quella di competere con la Lega sul terreno comune populista e corporativa e quella di non turbare troppo i rapporti con Mattarella e con palazzo Berlaymont a Bruxelles e dovrà farlo sfidando le insidie delle domande dei cronisti, forse l’esercizio nel repertorio della politica che le riesce meno bene.

Stessa difficoltà sul Mes, altro probabile pezzo forte della conferenza stampa, e sul patto di stabilità. Nascondere la resa sul patto sarà più facile, dal momento che nessuno, salvo i 5S, ha interesse a smascherare davvero il cedimento del governo, neppure il Pd. Significherebbe attaccare la Commissione e questo per il Nazareno rappresenta il massimo tabù. Le domande saranno più incalzanti sul Mes ma da quel punto di vista, con le elezioni vicine, la leader di FdI ha tutto l’interesse a rivendicare la scelta: il gioco le permette di presentarsi tanto agguerrita quanto il suo ringhioso vicepremier leghista. Il fuoco di fila sul caso Verdini è già certo ma in quel caso la premier se la caverà facilmente, anche perché il guaio casomai cade sulle spalle dell’alleato rivale. I problemi veri si presenteranno quando si tratterà di chiudere la porta in faccia a Sergio Mattarella senza ammetterlo e senza che il presidente si adiri e quando, persino in una temperie storica tragica come quella di questi giorni, nel Paese della commedia all’italiana si arriverà alla pistola formato mini di Emanuele Pozzolo.