Crosetto stempera, butta un po' d'acqua sul fuoco: «Una risposta al fondo di un'intervista, nella quale racconto una cosa riferitami. Una preoccupazione, non un attacco. Dico che voglio riferire in Parlamento. Vengo attaccato, insultato, minacciato, offeso». In altra sede lo stesso ministro della Difesa assicura che la premier non sapeva niente di quella “innocente” risposta. Insomma, l'accusa rivolta a una parte della magistratura di tramare per buttare giù il governo sarebbe solo una chiacchiera non molto diversa da quelle che si origliano al bar. E trattandosi appunto di una “voce” e nient'altro il ministro della Difesa ne avrebbe parlato tanto per dire e senza bisogno di informare la presidente del Consiglio.

Quanto c'è di credibile in questa versione? Pochissimo. Al ministero sono convinti che le riunioni, certo informali e carbonare, ci siano state davvero e che Crosetto ne fosse al corrente da un pezzo. Il ministro, che non è nato ieri, era del tutto consapevole della bomba che stava facendo esplodere ed è molto difficile, forse anche qualcosa in più, credere che abbia deciso un passo di tale portata senza farne parola con la premier.

La «preoccupazione», come la derubrica Crosetto, deriva anche dalla situazione che si starebbe creando in seno all'Anm. Il governo, sin qui, si era sentito al sicuro perché la corrente di maggioranza, Area, aveva adottato un atteggiamento di sostanziale appeasement col governo. Solo che quella garanzia starebbe svanendo dal momento che un parte di Area si sarebbe invece riavvicinata a Magistratura democratica proprio in nome della necessità di una maggiore, anzi secondo il ministero molto maggiore, conflittualità con il governo.

In concreto, se le riunioni ci sono state davvero o comunque se il riavvicinamento tra l'ala sinistra di Area e Md significa davvero che la tregua è finita, la minaccia può essere una sola, e probabilmente proprio questo teme, a torto o a ragione, Crosetto: un'indagine che tocchi qualcuno di molto vicino al capo del governo. Insomma Lollobrigida e non per una vicenda di nessuna importanza come quella del famoso treno. Che questa paura abbia qualche fondamento è assolutamente incerto, quel che invece sembra certo è che il ministro ha deciso di muoversi in modo così clamoroso, probabilmente previo semaforo verde di Chigi, perché teme un attacco al governo a quel livello e non, come sostenevano ieri sussurri e bisbigli nelle cittadelle dei media e della politica, perché tema di ritrovarsi sotto tiro lui in prima persona.

Va da sé che l'esternazione del ministro targato FdI mette in piena luce anche una distanza tra le sue posizioni e quelle del resto del partito e soprattutto della onnipotente leader. Giorgia Meloni è decisa a evitare a ogni costo lo scontro frontale con la magistratura sulla separazione delle carriere. Quella riforma, strombazzata prima delle elezioni, nel cassetto di Nordio sta e lì deve rimanere. A spingere in questa direzione la tolda di comando del governo sono diverse considerazioni: la riforma significherebbe guerra totale con la magistratura: con la sicurezza di mezzo, tema centralissimo per l'elettorato di destra, è sempre un grosso rischio. Ma attaccare su quel fronte significherebbe anche costringere il capo dello Stato a scoprirsi e se c'è una cosa che Meloni vuole evitare a tutti i costi, soprattutto con il premierato e un referendum molto meno facile del previsto in ballo, è proprio l'urto con il presidente della Repubblica. In più c'è anche una questione non secondaria di cultura politica: quella di FdI e degli antenati missini non è e non è mai stata una cultura garantista, al contrario di quella di Crosetto.

Non si può affatto escludere, di conseguenza, che il ministro abbia voluto dare una spinta in quella direzione, sia creando un caso, sia avvertendo Meloni che la pace a cui mira e per la quale è disposta a sacrificare la riforma è comunque già sul punto di svanire. Fi cerca di cogliere al volo l'occasione e rilancia: «Ora è più evidente che la riforma della giustizia, anche costituzionale, s'ha da fare», tenta l'affondo il viceministro azzurro della Giustizia Sisto. Ma per il momento e fino a che non avrà portato a casa il suo premierato la premier non dichiarerà guerra alla magistratura. Sempre che non si convinca che a infrangere la tregua è proprio la magistratura.