Un paio di giorni fa uno scambio al vetriolo tra due dirigenti del Pd molto impegnati nella battaglia congressuale ha per un attimo regalato senso a uno scontro che appare di solito come competizione personale e lotta tra correnti, dal momento che tutti evitano accuratamente di chiarire su cosa sono in disaccordo. Per una volta non è andata così e l'argomento, forse non a caso, era l'autonomia differenziata. Cioè proprio la matassa più ingarbugliata con la quale stanno facendo i conti in questi giorni Giorgia Meloni e l'intera maggioranza.

Bonaccini, commentando un articolo sul tema pubblicato dalla rivista Il Mulino aveva cinguettato su Twitter: «Il Pd ha la stessa posizione che ho io». Peppe Provenzano, alto ufficiale dell'area Schlein lo ha rimbeccato a stretto giro: «Non direi. In questi anni abbiamo criticato le pre- intese del 2018 e il lavoro del Conte 1. Diciamo che adesso hai la stessa posizione». Un modo chiaro per ricordare al governatore dell'Emilia che la sua è una conversione recente mentre la sua Regione era stata la prima a chiedere l'autonomia differenziata, su posizioni che sarebbe ingeneroso definire uguali a quelle dei governatori del Nord ma che certo non si possono neppure definire opposte.

Bonaccini si è reso conto per tempo di non avere quasi possibilità di vittoria senza il sostegno del Sud e di due governatori potenti come De Luca ed Emiliano. Dunque non ha esitato a prendere le distanze dall'autonomia. La linea comune del Pd è attestata sulla necessità di definire i Livelli essenziali di prestazioni prima di ogni ulteriore passo sulla strada dell'autonomia. La mozione Schlein va oltre e chiede che siano anche «garantiti» in via prioritaria.

Non è una storia di ieri, come sembrerebbe dalla conclusione dello scambio Bonaccini- Provenzano, col secondo che, dopo la stilettata, scrive: «Ora opponiamoci al progetto Calderoli senza se e senza ma». La distanza tra le posizioni interne al Pd può essere prudentemente oscurata in vista del voto sul nuovo segretario ma è tutt'altro che superata ed è dunque destinata a riemergere.

Sull'opposizione al progetto Calderoli, che del resto di ostacoli ne incontra a volontà anche nella maggioranza e nel governo, il Pd sarà unito. Ma se Giorgia resisterà alle pressioni leghiste per blindare il testo e la discussione parlamentare sul testo che presenterà il governo sarà davvero aperta le cose cambieranno. C'è di mezzo, tanto nel Pd quanto nella maggioranza, un elemento che rende l'autonomia una faccenda molto più delicata e meno maneggevole di molte altre all'apparenza più spinose: gli interessi materiali della propria base elettorale che, si sa, non vanno mai presi sotto gamba.

La richiesta di autonomia dell'Emilia-Romagna non era un capriccio del governatore ma un obiettivo concreto della base elettorale, che nell'economia del Pd un certo peso ce l'ha. Se Forza Italia è impegnata oggi a frenare l'impeto leghista dipende dal fatto che quel partito non è più “nordico” come era un tempo ma, al contrario, registra un peso crescente del Sud, anche e soprattutto in termini di voti.

La scelta della Lega è eloquente: Salvini e l'intero stato maggiore chiedono di calendarizzare il testo Calderoli prima delle Regionali perché necessitano di un successo da sbandierare in Lombardia. Per inciso, nel vertice di mercoledì a palazzo Chigi, sono riusciti a fare un passo avanti però non decisivo. Il summit si è concluso con l'impegno a varare il ddl governativo «in uno dei prossimi cdm», senza impegnarsi troppo sulla data.

Alla Lega non sfugge affatto che la calendarizzazione prima del voto sarebbe esiziale ma, sondaggi alla mano, ritiene che sia meglio diminuire ulteriormente le già esigua percentuale elettorale nel Lazio e provare a difendere la roccaforte lombarda. Il che equivale ad ammettere il fallimento della trasformazione del Carroccio in partito nazionale. Per FdI il discorso è diverso. Il partito della premier è all'arrembaggio del nord e ce la sta facendo. Anche ideologicamente, la visione di Giorgia l'almirantiana è molto diversa da quella di Calderoli e Zaia. Ma anche lì il peso della base più fidelizzata, quello del centro sud è decisivo.

I calcoli politici e l'interesse sonante della rappresentanza si intrecciano e rendono l'autonomia una mina certo più deflagrante per la maggioranza, chiamata a decidere, ma tutt'altro che disinnescata anche nel Pd, mentre i 5S, partito essenzialmente meridionale non avranno problemi di sorta e anzi sfrutteranno ogni oscillazione del Pd per lucrare voti al Sud.