Il dietrofront di Matteo Salvini era scontato: fare la crisi adesso, sullo sfondo della bocciatura della manovra da parte della Ue e dello spread che riprende a mordere, non conviene né a lui né ai Cinquestelle. Rischierebbe di mettere in Paese su un piano inclinato che potrebbe portare ad un nuovo governo tecnico: la peggiore delle débâcle per la maggioranza gialloverde.

Tuttavia è impossibile derubricare quel che è avvenuto sul condono (a proposito: verrà rivisto? e come?) alla stregua di semplice incidente di percorso, seppur più grave del normale. Cosa sia in realtà accaduto lo ha spiegato Luigi Di Maio avvertendo - con un livello di consapevolezza che solo i prossimi passaggi potranno specificare - che nella maggioranza si è creato “un problema politico”. Se è così, la soluzione da trovare non potrà che essere politica. Il che, tuttavia, comporta alcune conseguenze di rilievo, la più importante delle quali è che viene mandato in soffitta il fantomatico Contratto di governo e che da adesso in poi il vascello pentaleghista naviga a vista verso il traguardo delle elezioni europee. Cosa succederà dopo, nessuno può prevederlo.

Che il Contratto fosse una coperta tanto immaginifica quanto insufficiente a coprire l’innaturalità di un accordo di governo tra forze che hanno un radicamento popolare, geografico e concettuale diverso e a tratti addirittura opposto, era chiaro fin dall’inizio. Tuttavia sia Salvini che Di Maio avevano buon gioco di fronte agli elettori a dire che la loro era l’unica via di sbocco possibile dopo il voto il 4 marzo, l’unica soluzione per dare un governo e un accettabile grado di stabilità all’Italia alla vigilia di un periodo particolarmente delicato. Tutto questo poteva ben giustificare una alleanza in cui i programmi non erano portati a sintesi ma semplicemente giustapposti, con una premiership, di conseguenza, non figlia di una intesa politica complessiva bensì della necessità di trovare una figura di mediazione non in grado di fare ombra ai due Lord Protettori dell’esecutivo.

Finché questo tipo di rappresentazione ha retto, nessun problema. Ma il condono - e tra poco potrebbe essere il reddito di cittadinanza o qualsiasi altro provvedimento di sostanza - ha mandato all’aria quel castello di carte. Ha messo l’uno di fronte all’altro gli interessi, le convenienze, le necessità dei due partner: il soffio è stato così forte da mandare tutto all’aria. Diventa chiaro, dunque, che da adesso in avanti il Contratto non potrà più giustificare l’accordo tra Lega e Cinquestelle in quanto non più sufficiente a coprire le esigenze reali dei rispettivi elettorati. A seconda delle circostanze e degli accadimenti, potrà/ dovrà essere messo da parte: per meglio dire archiviato. La figura stessa ( e a maggior ragione il ruolo) del presidente del Consiglio è destinato a cambiare. Quel “il premier sono io”, in verità più sussurrato che esibito da parte di Giuseppe Conte, testimonia che palazzo Chigi non può più limitarsi ad essere il punto di raccordo di necessità e interessi contrapposti. Al contrario sarà chiamato ad esercitare un compito di indirizzo: lo stesso che peraltro prescrive la Costituzione. La domanda è: con quanta forza politica? Per poter andare avanti evitando gli scossoni, la maggioranza gialloverde avrebbe davanti a sé un’unica strada: trasformarsi da intesa pattizia in vera e propria alleanza politica. Rivedendo, appunto, il Contratto e sostituendolo con un accordo programmatico di legislatura. Date le premesse, è davvero impervio immaginare che sia possibile. Ecco perché la navigazione a vista risulta di fatto obbligata.

Resta che il quadro complessivo è drammatizzato dallo scontro in atto tra l’Italia e il resto d’Europa. La bocciatura della manovra di bilancio era scontata, qualcuno sostiene perfino sollecitata da Roma. Ciò che colpisce, tuttavia, è il tono perentorio che contraddistingue la lettera della Commissione. Dire che lo scostamento finanziario attuato dal governo “è senza precedenti” avverte che anche le contromisure della Ue saranno dello stesso tenore. I prossimi giorni, in attesa della pronuncia delle agenzie di rating, saranno decisivi. Se la tempesta diventerà perfetta, la navigazione a vista potrebbe rivelarsi insufficiente a tenere a galla la barca dei conti pubblici. Che poi è la cosa veramente importante.