«Ai talebani di essere "riconosciuti" importa poco o nulla. Sono i vincitori della guerra in Afghanistan e, piaccia o non piaccia, se si vuole avere un minimo di influenza su una terra strategica o se, banalmente, si vuole dar seguito alle dichiarazioni contrite e mettere in piedi corridoi umanitari per migliaia di profughi, bisogna parlare con loro. Punto». Alessandro Di battista, con un editoriale su Tpi.it, sposa la linea Conte: inutile fingere moralismi, dopo il disastro lasciato in Afghanistan col ritiro delle truppe alleate. «Io, sia chiaro, non provo alcuna simpatia per i talebani, ma trovo stomachevole scandalizzarsi per come i talebani trattano le donne e fare affari con i sauditi o considerare un "principe del rinascimento" Mohammad bin Salman, colui che ha ordinato l’assassinio e il conseguente smembramento del giornalista Khashoggi», punge l'ex deputato grillino, riferendosi al leader di Italia viva, Matteo renzi, tra i primi a stigmatizzare le parole di Conte sui talebani più diaologanti. «Chi è davvero interessato alle condizioni di vita degli afghani, martoriati da una guerra infinita, la cui maggior parte vive con meno di 2 dollari al giorno (i denari americani hanno corrotto l’establishment afghano, non hanno certo aiutato la popolazione), dovrà parlare con i talebani. Se si vorranno aprire strutture sanitarie occorrerà parlare con i talebani. Se si volesse impedire che un Paese così importante si consegnasse ai cinesi come il fantasmagorico esercito afghano addestrato a suon di miliardi dei contribuenti Usa o europei si è consegnato ai talebani, beh, occorrerà trattare con loro», scrive ancora Di Battista. «Oltretutto non sarebbe nulla di nuovo. Da anni ormai -spiega- pezzi grossi dell'intelligence dei Paesi occidentali trattano con i talebani. Ci hanno trattato emissari di capi di Stato, dirigenti dei ministeri degli Esteri, Ong, persino direttori di imprese straniere», aggiunge Dibba, prima di puntare il dito contro l'intera strategia di politica estera occidentale. «I talebani, che piaccia o meno, non avevano nulla a che vedere con l’attentato alle Torri gemelle, così come Saddam Hussein non possedeva armi chimiche, anche perché, nel silenzio (e in parte la compiacenza) dell’Occidente, le aveva già usate per fermare la controffensiva iraniana durante la guerra Iraq-Iran e per sterminare la popolazione curda di Halabja», scrive l'ex deputato. «Per non parlare di Gheddafi, assassinato, per la gioia di Sarkozy e della Clinton, esclusivamente per ragioni politiche. Altro che diritti umani. Anche quando il rais veniva ricevuto in pompa magna da Napolitano e Berlusconi, o gli veniva consentito di piazzare le tende davanti all’Eliseo, erano note le condizioni dei prigionieri nelle carceri libiche. Ma l’Occidente non faceva una plissé. Poi Gheddafi iniziò ad avvicinarsi a Cina e Russia e ad aumentare la sua influenza sui Paesi francofoni africani ed ecco spiegata la condanna a morte».