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centrodestra salvini meloni
L’accordo trovato sul nome di Roberto Lagalla a Palermo non ha, fin qui, sortito gli effetti sperati. Le tensioni nel centrodestra sono addirittura più forti di prima. Il passo indietro di Lega e Fi che sostenevano la candidatura di Francesco Cascio, parallelamente alla rinuncia da parte di FdI al nome di Carolina Varchi, hanno prodotto una convergenza dell’intera coalizione sul nome dell’ex assessore regionale siciliano all’Istruzione che aveva cominciato da civico, seppure con la benedizione dell’Udc, la sua campagna elettorale.
Il passo indietro di FdI era stato letto come propedeutico allo sblocco delle trattative tra i partiti in vista delle successive elezioni regionali. Gli uomini di Giorgia Meloni vogliono la ricandidatura del governatore uscente Nello Musumeci che aveva incontrato, però, molte resistenze sia da parte della Lega che dalla componente di Forza Italia legata Gianfranco Miccichè.
Proprio quest’ultimo, subito dopo l’accordo raggiunto a Palermo, si è reso protagonista, di nuovo, con un’intervista alla Stampa in cui ha definito «fascista» Nello Musumeci insieme ai vertici del partito di Giorgia Meloni, confermando l’impossibilità di una sua ricandidatura. Le dichiarazioni di Miccichè, ovviamente, hanno innescato un vespaio di polemiche e rischiato di far saltare definitivamente il banco. Tanto che il presidente dell’Ars si è trovato costretto ad una smentita ufficiale, dopo aver contattato telefonicamente i vertici di FdI per chiarire i termini dell’accaduto. Miccichè ha successivamente smentito quantomeno i toni del colloquio con il quotidiano. «Non ho mai usato questi toni nei loro confronti, né fatto queste affermazioni - ha detto Miccichè all’Agi - Sono toni esageratissimi, sinceramente non posso che chiedere scusa a chi si è sentito offeso, certo non era nelle mie intenzioni. Il fatto che io non consideri Musumeci il miglior candidato è un conto, ma questi toni non mi appartengono e non mi sarei mai permesso di utilizzarli».
Le dichiarazioni, poi ritrattate, da Miccichè, tuttavia, continuano ad infiammare il dibattito e hanno provocato anche qualche imbarazzo nei vertici siciliani di Forza Italia.
Ma non è soltanto la Sicilia ad alimentare le tensioni all’interno del centrodestra. L’accordo di Palermo non ha avuto il seguito che ci si poteva aspettare anche negli altri centri principali chiamati al voto il prossimo 12 giugno. A Verona, ad esempio, è ufficiale la frattura consumatasi all’interno del centrodestra con FdI e Lega che sosterranno il sindaco uscente Federico Sboarina, mentre Forza Italia ha annunciato ufficialmente il proprio sostegno all’ex leghista Flavio Tosi. Il caos regna anche a Catanzaro dove Lega e Fi sono, ormai da qualche settimana, in campagna elettorale con il candidato Valerio Donato, mentre FdI si trova nei guai dopo avere annunciato la candidatura autonoma di Rino Colace. A distanza di 48 ore dall’annuncio ufficiale lo stesso Colace ha rinunciato alla candidatura per «questioni professionali e personali impreviste».
Ma i venti di guerra all’interno della coalizione soffiano anche a livelli più alti. Dopo la bagarre sul mancato invito di Matteo Salvini alla conferenza programmatica di FdI a Milano, la Lega non ha perso l’occasione per restituire immediatamente la pariglia ai meloniani. Per il 14 maggio è fissato l’appuntamento del Carroccio a Roma “L’Italia che vogliamo” per il quale sono già stati distribuiti gli inviti. E tra questi non ne risultano inviati a FdI, mentre dovrebbe partecipare il ministro di Forza Italia agli Affari Regionali, Mariastella Gelmini.
Senza dimenticare, inoltre, che la coalizione è spaccata anche sui referendum sulla giustizia. FdI si è da tempo sfilata dai quesiti su custodia cautelare e abrogazione della legge Severino, mentre Forza Italia si è fin qui completamente disinteressata dalla campagna elettorale. L’unico a crederci, almeno formalmente, è Matteo Salvini che rischia di restare con il cerino in mano se dovesse realizzarsi lo scenario, dato per assai probabile, del mancato raggiungimento del quorum. Un clima di tensione generale, dunque, che continua a far slittare il vertice dei big dei partiti che viene rinviato costantemente da diverse settimane per evitare il peggio. E le amministrative sembrano essere soltanto la punta dell’iceberg che, in realtà, cela la lotta senza quartiere tra Matteo Salvini e Giorgia Meloni per la leadership della coalizione e per la guida del futuro governo che sarà disegnato dalle prossime elezioni politiche.