Leonardo Becchetti, economista all’università di Tor Vergata, dopo la norma del governo che tassa gli extraprofitti delle banche spiega che «bisognerà capire come saranno spesi questi soldi» e che «c’è una competizione tra governo e opposizione sulle politiche sociali».

Professor Becchetti, cosa significa la norma decisa dal governo e inserita nel decreto Omnibus che istituisce un prelievo sui profitti delle banche per destinare gli introiti a misure sui mutui prima casa e al taglio delle tasse?

In concreto è una tassa del 40 per cento su quelli che vengono chiamati gli extraprofitti. In realtà non sono profitti ma i guadagni di margine da interesse, cioè la differenza tra ricavi e costi di un’attività bancaria. C’è l’ipotesi che in questo periodo le banche abbiano aumentato molto i profitti, alzando i tassi attivi ma non toccando quelli passivi, da qui la necessità, dal punto di vista del governo, della norma. La cosa interessante di questa manovra, dal mio punto di vista, è che esiste ormai una competizione tra governo e opposizione sulle politiche sociali. C’è un problema importante per i ceti medio bassi nel nostro paese ed entrambe le parti politiche si vogliono accreditare come quelle che difendono i ceti più deboli. Ovviamente con idee e misure diverse.

Le banche dovranno versare il denaro entro il 30 giugno 2024, cioè sei mesi dopo la chiusura dell’utile 2023, e il ministro Salvini ha detto che non si tratterà «di qualche manciata di milioni ma di diversi miliardi». Come saranno utilizzati?

Innanzitutto occorre dire che la scadenza è molto in là con il tempo e quindi con questa mossa il governo porta certamente a casa un impegno per la difesa dei più deboli ma non sappiamo quale sarà poi il risultato. Un po’ quello che è successo nel momento dell’istituzione della tassa sulle società energetiche che avevano tratto profitto dall’aumento del prezzo dell’energia: in quel caso qualcuno ha pagato, altri no. Poi bisognerà essere chiari sul come utilizzare questi soldi. Un’idea è aiutare chi ha preso i mutui a tasso variabile, ma questo significa compensare delle persone che però sapevano di assumersi un rischio. Un’altra idea è quella di abbassare le tasse ma in questo caso bisogna vedere a chi: se lo si fa rispetto agli scaglioni più alti, si finisce per aumentare le disuguaglianze, se lo si fa su quelli più bassi invece si tratta di una manovra redistribuiva.

La tassa, in sostanza, è sui differenziali che gli istituti hanno registrato grazie all’aumento dei tassi d’interesse. Pensa che le banche accetteranno passivamente la norma o comincerà un dialogo tra le parti?

In economia siamo tutti collegati e interconnessi. Con questa tassa i soldi vengono tolti agli azionisti delle banche, cioè ai proprietari dei titoli azionari, i quali riflettono gli utili futuri delle banche. Sapendo che questi utili si ridurranno a causa della tassa, essi sono calati. Quando parliamo di “banche” in questo caso intendiamo gli azionisti, che possono essere chiunque di noi. E bisognerà capire se poi le banche a loro volta non si rivarranno sui correntisti.

In che modo potrebbero farlo?

Quanto più un’azienda ha potere monopolistico tanto più può trasferire la tassa sugli utenti. Possono farlo attraverso manovre sulle commissioni o altre leve non del tutto visibili, tante volte i cittadini non se ne accorgono neanche. Probabilmente è stata una manovra che ha un po’ sorpreso le banche stesse, ma bisognerà evadere se rispetto all’iter finale ci saranno aggiustamenti in base alle reazioni di tutte le parti in causa.

Pensa che la cifra che arriverà nelle casse dello Stato potrebbe essere utilizzato per rendere più stabile il taglio del cuneo fiscale già previsto da luglio a dicembre di quest’anno?

Stiamo parlando di tre miliardi, almeno questa è una prima quantificazione, e se così fosse non è una quantità tale da poter generare una variazione strutturale del cuneo fiscale. Il taglio del cuneo fiscale richiede strutturalmente più risorse e va ripetuta anno per anno, tanto’è che il taglio attuale scade a dicembre e il governo dovrà decidere se prorogarlo o meno.

Le previsioni di crescita dell’Italia per quest’anno sono superiori alle attese, anche se nel primo trimestre abbiamo assistito a una frenata del Pil. Crede che la congiuntura economica sia favorevole per il nostro Paese?

La congiuntura dipende da tante cose. Dalla risposta del turismo, dalla capacità delle imprese italiane di affrontare questa nuova fase nelle filiere produttive, da come sapranno affrontare la transizione ecologica e digitale. È difficile capire a priori in che direzione andranno tutti questi fattori. Finora l’economia italiana ha reagito abbastanza bene alle sfide di questi tempi, a partire da guerra e pandemia.

La Bce sta continuando a tenere alti i tassi d’interesse per contrastare l’inflazione e ipotizza anche ulteriori rialzi, ai quali il governo italiano è contrario. Che ne pensa?

Penso che bisognerebbe studiare molto bene questa inflazione. Non è un’inflazione da domanda, dove effettivamente l’aumento dei tassi è la medicina più efficace. Questa è un’inflazione particolare, dipesa dal costo dell’energia, dovuta a sua volta dalla nostra dipendenza dalle fonti fossili. Tant’è che un Paese come la Francia non sta riscontrando i tassi d’inflazione che vediamo da noi. Ora l’inflazione viene resa stabile dall’aumento dei prezzi dei beni alimentari, dovuto sia al costo dell’energia che all’emergenza climatica, visto che gli eventi climatici estremi stanno intervenendo in maniera significativa sui prezzi dei beni alimentari.

Come si può reagire?

Una delle ipotesi potrebbe essere la riduzione dell’Iva sui prezzi dei beni alimentari, come ha fatto la Spagna.