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Pierferdinando Casini
A67 anni così ben portati, beato lui, dei quali 40 vissuti da parlamentare, ora al Senato e prima alla Camera diventandone anche presidente, e appena all’inizio di una legislatura che ha tutta l’aria di durare davvero cinque anni, trascorsi i quali saremo già alla vigilia di una nuova corsa al Quirinale, dopo quella che lui ha perso quasi per un pelo a vantaggio della conferma dell’amico Sergio Mattarella, mi ha un po’ sorpreso la decisione di Pier Ferdinando Casini di scrivere un libro autobiografico, peraltro da «ultimo democristiano».
E titolato con tono nostalgico, quasi da commiato: C’era una volta la politica. Come se questa, alla quale lui ha pur deciso di partecipare facendosi rieleggere il 25 settembre scorso al Senato nella sua Bologna per la seconda volta ospite del Pd, inutilmente contestato col solito vezzo goliardico da Vittorio Sgarbi; come se questa, dicevo, non fosse ancora, o non fosse più politica.
Con la presunzione peraltro di conoscerlo bene, e da quando lui non era ancora diventato deputato ma aveva già fatto strada nella sua Dc, facendo una volta perdere la testa in una riunione di corrente al segretario del partito Flaminio Piccoli, e raccontandomi poi l’accaduto in modo così divertente da ispirare un fulminante controcorrente di Indro Montanelli sul Giornale; con la presunzione, dicevo, di conoscerlo bene mi sono chiesto perché mai questo indomito campione, per me, del buon senso, della moderazione e dell’amicizia avesse deciso di mettersi o manifestarsi a riposo, soddisfatto ma anche stanco di quattro decenni parlamentari e smanioso di fare magari nella prossima legislatura il presidente dell’associazione degli ex deputati o senatori.
No, mi son detto, qui c’è qualcosa che non mi torna. O non torna con la furbizia politica e umana che in tanti attribuiscono da sempre a Pier Ferdinando, per niente dispiaciuto peraltro di essere soprannominato proprio per questo Pierfurby, all’inglese maccheronico divertente come il latino, anch’esso maccheronico, cui si ricorre per definire le tante, troppe leggi elettorali che si sono susseguite dopo quella che contribuì con le ghigliottine giudiziarie a uccidere la cosiddetta Prima Repubblica.
Senza neppure bisogno di comperare il libro - cosa che comunque farò - e di leggerlo per intero, mi è bastata una delle recensioni o delle anticipazioni scorse domenica nei giornali per riscoprire, diciamo così, la furbizia non dell’ «ultimo democristiano», come lui stesso - ripeto - si è definito, ma del penultimo, vivendo ancora, grazie a Dio, l’ultranovantenne Arnaldo Forlani. Della cui segreteria del partito, fra il 1989 e il 1992, Casini fece parte convinta e anche preziosa. Mi ha aperto gli occhi o la malizia, come preferite, la parte conclusiva dell’articolo dedicato al libro di Casini su Repubblica da Giovanna Casadio, pur dedicato anche nel titolo alla ricostruzione della caduta del governo di Mario Draghi. Che Pier Ferdinando cercò di evitare sino all’ultimo, presentando infine col consenso dell’interessato, che vi pose la questione di fiducia, una mozione che servì a mettere in chiaro paternità e responsabilità della crisi sfociata infine nelle elezioni anticipate.
Ebbene, a conclusione del suo articolo la Casadio ha citato parole di Casini non su Draghi ma sul tormentone, a dir poco, del congresso del Pd. Dal quale mi era parso di capire qualche tempo fa che Casini da ospite volesse tenersi defilato, ma al quale sembra che abbia finito per voler mettere almeno un dito, o poche parole, con tutta la prudenza dell’ospite ma anche nella consapevolezza, per niente sbagliata, che la partita del Nazareno, chiamiamola così, non è per niente marginale nello scenario italiano e forse anche europeo della politica, o di quel che ne resta a leggere il titolo del libro del senatore.
Ecco, testuali, le parole di Casini sulla polveriera del Pd: «Bonaccini rappresenta il meglio del riformismo emiliano, e non è cosa da banalizzare», specie per un bolognese come l’ex presidente della Camera. «Elly - ancora parola di Casini riferita naturalmente alla Schlein, concorrente di Bonaccini dopo essergli stata vice presidente alla Regione - è nuova, potrebbe infondere entusiasmo ma dovrebbe scongiurare la deriva radicale per non allontanare i moderati». O non allontanarne altri ancora dopo quelli che, nonostante il significato certamente politico della ospitalità rinnovata a Casini, hanno già abbandonato elettoralmente il Pd preferendo votare addirittura la Meloni. Lo va ripetendo da tempo, chiedendo inutilmente un esame anche di questo problema, non un ospite ma un postdemocristiano e popolare sturziano come Pier Luigi Castagnetti, accasatosi regolarmente nel Pd dal primo momento.