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Era la mattina del 13 maggio 1999. Transatlantico di Montecitorio gremito, grande attesa per l’elezione al Colle di Carlo Azeglio Ciampi, che avverrà con larghissimo margine al primo scrutinio. Storia un po’ rocambolesca e anche con tratti esilaranti della prima e unica intervista di Silvio Berlusconi a L’Unità, quella ancora di oltre 100 mila copie, ma verso la crisi, e di fatto già in parte soppiantata dal quotidiano La Repubblica.
Berlusconi intendeva lanciare un segnale alla sinistra del suo importante ruolo in quell’accordo, che poteva precludere alla ripresa del dialogo sulle riforme istituzionali, naufragato un anno prima nella Bicamerale di Massimo D’Alema. Il titolo della mia intervista a L’Unità, di cui ero inviato speciale di politica parlamentare, il giorno dopo fu: «Berlusconi: dialoghiamo e nessuno gridi all’inciucio». Insomma, dialogo e riforme ma per rafforzare quel bipolarismo da lui stesso fondato.
La vicenda di quella storica intervista all’ex organo del Pci, non è per parlare della sottoscritta, ma dell’approccio da vero liberale, con tratti di autentica umanità, dell’ex quattro volte premier e leader azzurro più che alla testata - per lui la tana del lupo, ancora più simbolica sul piano storico della sua celebre apparizione in tv da Michele Santoro con la spolverata di sedia per Marco Travaglio che lo portò al pareggio alle elezioni del 2013 - all’individuo giornalista che non può essere incasellato unicamente in una testata, per quanto a lui altamente indigesta. Ma Berlusconi non ha mai avuto paura di scendere a confrontarsi anche nella “tana del lupo”. Per dirla tutta, L’Unità era certo altamente simbolica, ma il Cav aveva anche già dato quel giorno nelle tante interviste, una a Repubblica, tantissime copie in più.
Certamente gli era utile anche parlare con L’Unità quel giorno, ma ci fu anche un suo atteggiamento laico e liberale nei confronti della sottoscritta. Alla quale, avendogli parlato una volta delle mie simpatie filo- craxiane pur scrivendo per il giornale fondato da Gramsci, chiese al termine dell'intervista: «Scusi, signora Sacchi, ma io non ho capito: lei era comunista (alludendo al fatto che non gli sembravo tanto tale, ndr) o socialista?». Provai a spiegargli che nel Pci c’erano anche i minoritari “miglioristi”, per esemplificare i “filo- craxiani”. Il presidente tagliò corto, evidentemente troppe sfumature per l’ex imprenditore fattosi politico e statista della Seconda Repubblica. E dire che la direzione del giornale quella mattina mi aveva chiesto in particolare di intervistare Gianfranco Fini. Eseguii, ma per la mia mansione avevo ampio mandato. Fini, che già mi aveva concesso altri colloqui, su un divano del Transatlantico mi disse che era impegnato in altre interviste. Insomma, con giornali più importanti del mio. Anche se non disse ovviamente così. Reagii con sfida : «Ma oggi è un giorno cruciale. Bene, me la darà allora il presidente Berlusconi». Il portavoce del leader di An sorrise, mi prese simpaticamente per una pazza. Mi portai fortuna da sola. Incrocio Berlusconi, cui da tempo chiedevo l’intervista, gli dissi: «Presidente, neppure oggi?». Il Cav mi guardò divertito da tanta insistenza: «Sì, oggi sì, venga con me». Confesso che gli dissi, animata dall’entusiasmo del cronista per il colpo grosso: «Lei è un grande, l’abbraccerei». Iniziai, guardata con stupore da tutti i “giornaloni”, a camminare con il Cav verso il cortile di Montecitorio. Berlusconi era un fiume in piena. Non riuscivo a stargli dietro, il registratore lasciato in sala stampa. Memorizzai, appuntai anche su una scatola di cerini. Allora, mi disse: «La vedo in difficoltà, vuole che la chiamo più tardi al suo giornale?». La telefonata sul mio telefono fisso alla sezione del “Politico”, squillò con diverso anticipo sul previsto. «Sono Berlusconi, che chiama l’Unità », disse scherzoso. Il telefono non era ancora stato collegato dai tecnici al registratore. Scherzai anche io: «Presidente, ci dobbiamo risentire tra un po’, che qui siamo più poveri di lei». Si divertì. Il direttore di allora, Paolo Gambescia, pur facendomi i complimenti, un po’ meno: «Gliela avevo chiesta io. Ecco, a te sì e a me no». Berlusconi, ovvero il leader liberale e imprevedibile, non andava per ordine di importanza gerarchica. A sera mi chiamò lo storico portavoce del Cav, Paolo Bonaiuti, praticamente bypassato: «Paola, leggimi queste cinquanta righette, per favore». «Paolo, è già in stampa, ma sono mi sa 250». Urlo di Bonaiuti: «Ma come?!! È L’Unità!!! ». Risposta: «E che lo scopri ora? Non ti preoccupare, “Silvio” lo sa bene».