Tajani contro il commissario al lavoro: a gamba tesa in piena campagna elettorale

L’accordo in sede Ue per l’introduzione di un quadro normativo che comprenda anche il salario minimo ha scatenato il dibattito politico tra centrosinistra, da un lato, e centrodestra, dall’altro.

In mezzo, le parole del commissario europeo al Lavoro, Nicolas Schmit, che hanno alzato un polverone sulla questione.

«Respingo l’interferenza del commissario Nicolas Schmit, che dice che bisogna fare per forza in Italia il salario minimo, così come lo vogliono il Pd e il M5S, intromettendosi in una campagna elettorale in corso - ha tuonato il coordinatore nazionale di Forza Italia, Antonio Tajani - Il commissario europeo deve fare un altro mestiere».

Ma la vera questione è se portare avanti o meno la discussione in commissione al Senato dove giace il ddl a prima firma Nunzia Catalfo, ex ministra del Lavoro del governo gialloverde in quota M5S, che prevede l’introduzione di un salario minimo anche in Italia di 9 euro all’ora.

Approvare una misura simile entro questa legislatura appare difficile, se non impossibile, vista l’opposizione del centrodestra. «Il tema è molto serio, ma la questione va affrontata in un quadro molto più ampio e più complesso perché altrimenti si rischia di far finta di risolvere un problema che in realtà impatta in misura minima», ha detto la leader di Fdi, Giorgia Meloni, intervenendo in visita al Salone del Mobile di Milano e chiedendo invece il taglio del cuneo fiscale. Sulla stessa lunghezza d’onda la capogruppo di Forza Italia a palazzo Madama, Anna Maria Bernini, secondo la quale «il salario minimo non va introdotto per legge», perché «sono altre le strade per difendere il potere d’acquisto dei lavoratori», e dalla Lega, con la sottosegretaria al Lavoro, Tiziana Nisini, che spiega come il salario minimo non sia la soluzione. «Bene fissare dei criteri ma diciamo no ad obblighi di alcun tipo», sottolinea l’esponente del Carroccio.

Contrario anche Maurizio Lupi, leader di Noi con l’Italia, secondo il quale sono proprio il reddito di cittadinanza, l’assistenzialismo e il salario minimo ad ammazzare il Mezzogiorno.

Il fronte opposto, che riunisce Pd, M5S e Leu, è altrettanto compatto a sostegno del provvedimento ed esprime soddisfazione per l’accordo raggiunto a Bruxelles. «Il Movimento 5 Stelle da anni porta avanti questa battaglia e non ci sono più scuse per nessuno - ha ammonito il presidente pentastellato, Giuseppe Conte - approviamo subito la nostra proposta ed eliminiamo la vergogna degli stipendi da fame per milioni di lavoratori». E se per il vicesegretario del Pd, Peppe Provenzano, quello di ieri è «un passo decisivo per la costruzione dell’Europa sociale», tale per cui «la Repubblica fondata sul lavoro non può rimanere indietro», secondo il capogruppo di Leu alla Camera, Federico Fornaro, il salario minimo «non è più rinviabile». Significativo anche l’intervento del ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, padre del reddito di cittadinanza, che invoca «una legge dignitosa per quei lavoratori che portano avanti il Paese», esortando l’Italia a «dimostrare di stare al passo con i tempi».

Una lettura alternativa è quella che arriva da Carlo Calenda, leader di Azione impegnato in queste settimane a costruire un’ “area Draghi” attorno alla quale costruire un polo di governo dopo le prossime elezioni.

«Il salario minimo è fondamentale e serve non per distruggere la contrattazione nazionale, che in Italia funziona bene, ma per integrarla per quei lavori scoperti - ha spiegato ieri in un video sui social - Ma sono molto spaventato che la sua introduzione porti le forze politiche a una rincorsa per alzarlo». Questo, spiega l’ex ministro dello Sviluppo economico, «potrebbe provocare disoccupazione e lavoro nero» e dunque «sarà molto importante» discutere in maniera trasparente della cifra corrispondente al salario minimo così da introdurlo nel modo giusto.