Europa, “TeleMeloni”, attacchi alla sinistra, paragoni calcistici. C’è stato tutto questo nel comizio di chiusura della campagna elettorale di Giorgia Meloni, in piazza del Popolo a Roma. Quella piazza alla quale «noi non rinunceremo mai», ha esordito la presidente del Consiglio, «perché è da dove siamo venuti». 

Una piazza, ha aggiunto la leader di Fd’I che «racconta anche la differenza tra noi e la rabbia, la cattiveria dei nostri avversari più livorosi» perché «il nostro motore sarà sempre l'amore e non l'odio, costruire e non distruggere». E torna subito alla mente quel «l’amore vince sempre sull’invidia e sull’odio», storico slogan berlusconiano di piediellina memoria. 

Ma poi si fa sul serio e allora ecco il primo attacco sul premierato. Che «è una riforma che dà agli italiani il diritto di scegliere da chi essere governati». Secondo Meloni «sinistra e M5S stanno facendo un'opposizione che non hanno riservato a nessun altro provvedimento del governo» perché «non gli va giù l'idea che possano essere gli italiani a scegliere direttamente il presidente del Consiglio». E la stoccata. «Bisogna capirli, del resto il Pd come avrebbe fatto a governare quando perdeva le elezioni? E come avrebbe fatto Conte a diventare premier quando gli italiani non sapevano nemmeno chi fosse? – si chiede la presidente del Consiglio – Per loro la democrazia c'è solo se comandano». In piazza ci sono migliaia di persone ma siamo lontani dal pienone, prima dell’intervento risuona a tutta palla “sono quella stronz… della Meloni”, frase pronunciata qualche giorno fa contro il presidente della Campania, Vincenzo De Luca. E non manca un passaggio anche su questa vicenda. «Si scandalizzano se una donna si difende...vale solo per me perché io sono una donna di destra e lui un uomo di sinistra? Una donna insultata può difendersi o no? – ha chiesto Meloni – Noi siamo abituati a non abbassare la testa e non darla vinta a bulli e gradassi. Sono una donna e pretendo lo stesso rispetto che do agli altri. Eccola la parità, eccolo l'orgoglio femminile, quello che gli altri non sanno più difendere». 

E si arriva anche a parlare di servizio pubblico, di quello”TeleMeloni” più volte urlato dalle opposizioni negli ultimi mesi. «Ci accusano di occupare la tv pubblica e censurare gli intellettuali scomodi, poi vai a guardare i dati e scopri che al Tg1 io sono stato il presidente del Consiglio meno presente degli ultimi sei presidenti del Consiglio – spiega l’inquilina di palazzo Chigi – Il problema non è che c'è Tele-Meloni, è che non c'è più Tele-Pd. Abbiamo promesso che avremmo portato il pluralismo e lo faremo anche se vi stracciate le vesti». 

Il comizio viene interrotto da un malore che colpisce un militante, subito soccorso. E così si arriva alla chiusura sulle Europee, visto il voto imminente. «L'Italia a quei tavoli si siederà e lo farà da protagonista, non più col piattino in mano, quella stagione è finita – dice Meloni – L'8 e il 9 giugno abbiamo la possibilità di archiviarla per sempre. Vogliamo fare a Bruxelles quello che abbiamo fatto anche a Roma, costruire un governo di centrodestra e mandare all'opposizione le sinistre rosse verdi e gialle». Dunque niente maggioranza coi socialisti, anche se il Ppe non sarà d'accordo. «Con la sinistra non abbiamo mai governato e non governeremo, né in Italia né in Europa – conclude la leader di Fd’I – abbiamo vinto lo scudetto, ora vinciamo la Champions League». Inno di Mameli, “A mano a mano” di Rino Gaetano e la piazza, lentamente, si svuota sotto il sole cocente di Roma.