La tattica è, o almeno sembra, quella di sempre: affondi seguiti da rapide quanto temporanee ritirate per impedire che la tensione superi i livelli di guardia, però senza mai permettere che si allenti davvero. Salvini fa così da sempre, da quando il governo Meloni è nato. Non stupisce che il gioco sembri sempre lo stesso, trito e ozioso.

Ieri, per esempio, ha assicurato che «le crisi nella maggioranza se le inventano i giornali» e a riprova ha preso proprio il dossier più divisivo, la guerra. «Noi le armi difensive all’Ucraina le abbiamo sempre sostenute. Altro discorso sarebbero le armi offensive ma è un’ipotesi fortunatamente scomparsa», giura. Logica rigorosa se non fosse che pochissimi giorni fa sia Salvini che il suo vice Crippa strepitavano invece perché le armi fornite dall’Italia a Kiev, il sistema missilistico Samp-T sarebbero appunto d’offesa e non limitate alla difesa. Del resto, quando si tratta di armi, la distinzione è davvero sottile. Passa più per la scelta politica di come e cosa guardare di volta in volta che non per i manuali di scienza militare.

Giochi di prestigio a parte, che Salvini non intenda mettere in crisi la maggioranza è evidente e lo è sempre stato. I paroloni altisononanti, sin qui, son stati appunto solo parole e per il momento continueranno a esserlo. Stavolta però una differenza profonda c’è e spiega perché l’offensiva salviniana di questi giorni, probabilmente, non solo non finirà ma potrebbe intensificarsi nel giro di qualche mese. Si chiama effetto Trump e bisogna essere completamente digiuni di politica per pensare che l’eventuale, ma sempre più probabile, cambio della guardia a Washington non tocchi, o tocchi solo di striscio, l’Europa. La realtà è opposta: in questo momento qualsiasi cosa la destra sovranista faccia in Europa, nell’Unione e nei singoli Paesi, è orientata dalla bussola delle presidenziali americane. Per questo sono nati i Patrioti nel Parlamento europeo di Strasburgo.

La destra che ieri, a Strasburgo, innalzava la bandiera del gruppo Identità e democrazia e che oggi, rafforzata da Orbàn, si raduna nei Patrioti non è realmente putiniana ma è invece davvero trumpiana. Non che abbia un piano preciso ma si dispone per cogliere l’occasione che prevede sarà offerta, o sarebbe offerta, dalla vittoria del tycoon. In Europa sarebbe in effetti un terremoto che sconquasserebbe prima di tutto il fronte per l’Unione più delicato, quello della guerra. La situazione ha aspetti paradossali. All’inizio molti Paesi europei hanno aderito con notevoli dubbi

ed esitazioni allo scontro frontale con la Russia deciso da Washington. Per la Germania, che alla vigilia del conflitto era a un passo dal pagare molto di meno i costi dell’energia grazie a North Stream 2, la crociata è stata un colpo durissimo per l’economia. In Italia, considerata a priori anello debole della catena europea, persino Mario Draghi è stato nelle prime settimane messo sotto stretta e sospettosa osservazione e in parte le posizioni iperatlantiste sue e di Enrico Letta si spiegavano proprio con la necessità di rassicurare l’amico americano.

Col tempo l’Unione si è esposta sempre di più, ma la guerra è allo stesso tempo diventata sempre meno popolare, un po’ in tutti i Paesi. Costa molto e dopo due anni e passa non se ne vede la fine. Il paradosso è che, con l’eventuale presidenza Trump, la responsabilità è il peso economico del conflitto ricadrebbe molto di più sulle spalle dell’un tempo recalcitrante Europa. Con esiti facilmente prevedibili sul consenso dei governi. Del resto non è l’unico fronte. Il ritorno del Patto di Stabilità non resterà senza conseguenze, sempre in termini di consenso, e sarebbe ingenuo pensare che la vittoria della destra negli Usa non gonfierebbe le vele dei trumpiani del vecchio continente e della loro campagna contro un’Unione tornata rigorosa.

In questo quadro ordinato, la Lega è l’elemento dissonante. Tutti gli altri infatti devono solo far leva sull’effetto Don per attaccare i singoli governi e l’establishment europeo. La Lega deve prendersela con un governo di cui fa parte e con un’alleata e premier che è in primissima fila tra i falchi atlantisti. A diffferenza di tutti gli altri non può farlo con l’obiettivo di abbatterla. Deve cercare di eroderne i consensi, molto più decisamente di quanto non abbia fatto sinora, cioè non limitandosi alla pura propaganda, pur continuando a sostenerla e come esercizio d’alto equilibrismo non c’è male. Ma se non altro con un alleato alla Casa Bianca che considera la premier sovranista italiana più o meno una traditrice la spericolata prova sarebbe meno difficile e con qualche chance di successo in più.