Entro l’autunno il Movimento 5 stelle avrà un candidato premier e una squadra di governo. Tutti selezionati in rete, ovviamente, subito dopo la definizione definitiva del programma che da settimane viene votato dagli iscritti. Ma chi sarà l’uomo giusto per condurre i pentastellati a Palazzo Chigi? Dopo l’esordio televisivo di Davide Casaleggio da Lilli Gruber una cosa sembra certa: il tenebroso manager d’azienda non ha il physique du role del leader. Del resto, è stato proprio il figlio di Gianroberto a mettere subito le mani avanti con la conduttrice: «Il capo politico del Movimento 5 stelle è Beppe Grillo. Io do il mio supporto gratuitamente perché è un buon progetto, ma non voglio sostituire mio padre». Non sarà lui, dunque, a guidare la battaglia elettorale per la conquista del Palazzo. O meglio, non sarà lui il frontman della scalata. Perché dietro le quinte, Casaleggio junior fa valere tutto il suo peso e la lucidità della sua visione: sdoganare il Movimento negli ambienti ostili al cambiamento, accreditandosi come forza di governo. Una partita a scacchi, in cui l’inventore della piattaforma Rousseau ha deciso di giocare in prima persona muovendo i pezzi giusti: una lettera aperta al Corriere della Sera, un’ospitata a La7, una convention in ricordo del padre con un parterre dissonante rispetto alla retorica pentastellata. Per le sue uscite pubbliche Davide ha scelto con cura i media a cui concedere l’esclusiva, il più importante quotidiano italiano e una rete televisiva sbarazzina. Due medium diversi ma solo editore: Urbano Cairo, l’uomo che può far incontrare il Movimento con la parte mite del Paese. Il Movimento non brandisce più solo “forche” con cui “infilzare” la casta, Casaleggio ora con la casta vuole sedersi al tavolo. Oggi a Ivrea, al meeting organizzato in memoria del padre, tra gli ospiti ci sarà persino Paolo Magri, direttore dell’Ispi e segretario della Trilateral, il think tank fino a poco tempo fa etichettato dai 5 Stelle come «sodalizio paramassonico» . L’attivismo “normalizzatore” di Davide però non corrisponde con la fine della enfasi moralizzatrice dei pentastellati. In campagna elettorale, i 5 Stelle continueranno a contrapporre la loro «onestà» contro il resto del mondo. Ed è qui che rientra in gioco il “capo politico” Beppe Grillo. È lui l’uomo perfetto per le piazze, il migliore sul mercato, il comico che dal nulla ha tirato su una formazione politica capace di diventare la prima forza d’opposizione del Paese. Se il Movimento vuole davvero provare a giocarsi la partita del governo, sarà ancora a lui che dovrà affidarsi per raccattare voti. Beppe si è sempre definito incandidabile, a causa di una condanna per omicidio colposo di tanti anni fa. Ma la coerenza sulle “regole” non è proprio la stella polare del M5S. Fino a poco tempo fa, persino un’indagine a carico diventava un’onta da lavare con l’allontanamento immediato dal partito. Poi è arrivata Virginia Raggi e con lei le consuete, per un sindaco, inchieste della magistratura e il comico ha deciso di cambiare il “Codice di comportamento” pentastellato per adattarlo alla nuova realtà. La vecchia regola di Gianroberto «al primo dubbio, nessun dubbio» non esiste più. Ed è proprio in quel regolamento modificato che compare un dettaglio che potrebbe consentire persino a Grillo di candidarsi senza contravvenire alle “leggi” interne. Per il nuovo Codice, infatti, è incompatibile con un carica elettiva per il M5s chiunque riporti una condanna penale «per qualsiasi reato commesso con dolo». Una casistica in cui, evidentemente, non rientra l’omicidio colposo. Il “Garante” sarebbe dunque potrebbe scendere in campo e finalmente controllare da molto vicino i suoi parlamentari.

Se però Grillo non se la sentisse di spingersi fino a tanto, al Movimento rimarrebbero comunque altri jolly da gettare sul tavolo. Luigi Di Maio si allena da anni a fare il premier. Composto, istituzionale e arrogante al punto giusto il vice presidente della Camera si sente già con un piede a Palazzo Chigi. Per farsi conoscere all’estero organizza incontri internazionali. Il più ambizioso: in primavera, negli Stati Uniti, quando proverà a stringere la mano a Donald Trump. L’unico scoglio sul suo cammino - qualora lo Staff non decidesse di stopparlo prima - si chiama Roberto Fico: il grillino purista da sempre rivale del leader di Pomigliano.

Non è escluso, però, che Grillo e Casaleggio optino per un “papa straniero”. I giovani parlamentari sono in gamba, sì, ma per il governo del Paese potrebbe servire una figura più autorevole. Il nome più gettonato nelle ultime settimane è stato quello di Pier Camillo Davigo, il magistrato di Mani Pulite che ha appena lasciato la guida dell’Anm. Difficile immaginare che l’integerrimo ex membro del pool accetti di lasciare la toga per sposare la causa pentastellata e presentarsi alle primarie sul Blog. Diverso sarebbe se, una volta vinte le elezioni, il Movimento 5 Stelle chiedesse al magistrato di assumersi l’onere della guida del Paese. Forse in quel caso, senza tessere di partito in tasca, anche Davigo accetterebbe.