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Doveva essere un interrogatorio. Si è trasformato in un amplificatore dell’inchiesta. Con una differenza: stavolta il “processo mediatico” non è imbastito dalla Procura. Non è, come di solito capita, lo strumento per rafforzare la suggestione delle accuse. Stavolta la scena è ribaltata dall’indagato (da uno degli indagati) per esporre le munizioni della difesa.
Protagonista della mirabile impresa è Matteo Renzi. Uno degli indagati, appunto, nell’indagine della Procura di Firenze sulla Fondazione Open. Secondo i pm Luca Turco e Antonino Nastasi, sostituti dell’ufficio diretto da Giuseppe Creazzo, i 7 milioni e 200mila euro raccolti dalla fondazione fra il 2012 e il 2018 sarebbero corpo del reato di finanziamento illecito ai partiti ( cioè al Pd) continuato. Con Renzi, com’è noto, sono sotto indagine altre quattro persone: Maria Elena Boschi, Luca Lotti, l’imprenditore Marco Carrai e l’avvocato Alberto Bianchi. Tutti componenti del cda di Open di cui Bianchi era presidente. Quella fondazione sarebbe stata, per i magistrati, la “cassaforte del renzismo”. Accusa del cui peso e della cui consistenza si dovrà discutere nell’eventuale processo. Ammesso che vi sia un rinvio a giudizio. Adesso, tra le variabili, arriva l’interrogativo, sollevato ieri da Renzi, su quali siano «il giudice naturale» e la Procura legittimata a procedere. Quesito avanzato formalmente, sempre ieri, dagli avvocati dell’ex premier Gian Domenico Caiazza e Federico Bagattini. È stato prima il leader di Italia Viva a invocare chiarezza sulla competenza territoriale dell’indagine aperta dalla Procura di Creazzo: lo ha fatto in una lettera al Turco, trasmessa lunedì e divenuta pubblica ieri. A poche ore dalla diffusione della missiva, i difensori hanno depositato l’eccezione formale presso l’ufficio dei pm, con istanza di trasferimento del fascicolo a Roma o, in subordine, a Velletri o Pistoia.
Si dirà: ordinaria strategia difensiva. Sì, ma non è solo la concreta qualità degli atti difensivi che conta, quanto la pubblicità che Renzi riesce darne. Intanto il senatore e leader di Italia viva spiega a Turco perché ieri non ha potuto presentarsi all’interrogatorio: «Sarò nella Capitale per assolvere al mio dovere di rappresentante della Nazione in base all’articolo 1 della Costituzione». Poi Renzi va oltre il legittimo impedimento: «Prima di rispondere alle domande Sue o dei Suoi colleghi avverto il dovere di conoscere quale sia il giudice naturale ex articolo 25 della Costituzione». Lo comunica al pm e poco dopo ne vengono a conoscenza le agenzie di stampa. Nella missiva l’ex premier confeziona un altro passaggio, forse poco significativo se non fosse divenuto pubblico: «Sarà nostra cura intervenire in tutte le sedi per verificare il rispetto delle guarentigie di cui all’articolo 68 comma 3 della Costituzione che appaiono purtroppo gravemente lese, in modo reiterato e sistematico, da una prima lettura degli atti pubblicati dai media».
Ecco: Renzi annuncia di voler condurre, con i propri avvocati Caiazza e Bagattini, approfondite indagini difensive. Lo aveva detto anche in tv, domenica scorsa a “In mezz’ora” su Rai 3. Aveva presentato le mosse legali come una battaglia civile: «Faremo delle indagini, quelle che fanno gli avvocati. Sceglieremo formule per interrogare le persone e vedremo chi ha ragione». Non solo: per seguire «i processi, le indagini, le accuse», aveva detto Renzi nell’intervista, «Italia Viva ha aperto il sito www. guerraaRenzi. it ». Il processo mediatico “ordito” dalla difesa. Notevole idea che solo un comunicatore come Renzi poteva rendere concreta. Come non era riuscito a Berlusconi.
Nella lettera inviata lunedì al pm, Renzi fa pesare anche lo specifico impegno parlamentare che il giorno dopo ( cioè ieri) gli avrebbe impedito di sottoporsi all’interrogatorio: «La prevista audizione che il sottoscritto dovrà rendere presso la commissione di inchiesta per la morte di Giulio Regeni nella veste di ex presidente del Consiglio». Alla fine le argomentazioni della difesa sono solo una tessera del mosaico mediatico. Va ricordato, per la cronaca che l’incompetenza territoriale eccepita dagli avvocati Caiazza e Bagattini si basa sul luogo in cui sarebbe avvenuto il primo versamento a Open: quello della British American Tobacco, con sede legale a Roma. Da qui l’istanza di trasferimento dell’inchiesta da Firenze alla Procura della Capitale. Poi ci sarebbe il versamento della Promidis, con sede a Pomezia, dove la competenza è di Velletri. In subordine la competenza sarebbe o a Roma, quale ufficio della città presso cui ha sede il Pd, o Pistoia dove è nata la Fondazione nel 2012. Creazzo avrà 10 giorni per esprimersi sull’istanza. Qualora fosse respinta, la difesa di Renzi potrà rivolgersi al pg della Cassazione Giovanni Salvi. La cui pronuncia potrebbe arrivare nei primi giorni del 2021.
L’ex premier tende a insinuare il sospetto, in una parte dell’opinione pubblica, che la pretesa punitiva degli inquirenti non poggi su basi solide. In pochissimi saprebbero allestire una controffensiva mediatica simile. Ma chissà che Renzi non abbia a breve emuli pronti a ribaltare a loro volta il solito schema della giustizia mediatica.