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NOI RADICALI CERCHIAMO DI PORTARE AVANTI DA 50 ANNI QUESTO STILE “ANGLOSASSONE”
MEMBRO DI COMITATO DI RADICALI ITALIANI
La politica elettorale entra nel vivo. In questa campagna Mario Draghi fa da spartiacque. Da un lato c’è chi si nasconde dietro chi ha portato avanti per quasi due anni l’opposizione, dopo essersi accomodato nel patto atlantista ed europeista del governo: le contraddizioni, poi, sono esplose a febbraio, insieme agli ordigni russi.
Dall’altro, il fronte della cosiddetta agenda Draghi, dell’opposizione a Putin, delle riforme europee e dell’internazionalizzazione del mercato e dell’impresa italiana. La costituzione del fronte, però, è problematica dal principio. E non contano le avversioni di chi mette al bando qualche punto dell’agenda, liberalizzazione in primis. La democrazia è presa di coscienza, negoziazione tramite il dibattito e la conoscenza. In quest’ottica due problemi in particolare si delineano all’orizzonte: l’appropriazione indebita e il rapinatore, ovvero i partiti.
Parlo di indebita appropriazione perché, in forma più o meno accentuata, tutti i partiti che soddisfavano le condizioni ‘ sostegno a Draghi’ e ‘ all’Ucraina’, qualche secondo dopo la fiducia al Presidente del Consiglio ( seguita da dimissioni), si sono fregiati dell’agenda. Su questo aspetto non dovremmo essere critici: c’è una buona agenda di temi da trattare, di riforme da fare, allora ‘ prendiamone e facciamone tutti’. Anche considerando che senza Draghi quelle riforme sarebbero rimaste sepolte sotto il tappeto per molti anni. Il problema, però, è nell’inconsistenza dei partiti in scena. Non basta dunque solo ‘ rapire’ una buona e necessaria agenda, bisogna anche saperla gestire. Un partito dovrebbe offrire un’idea di Paese, una proposta del mondo a cui si aspira e raccogliere consensi su quella base. Quando i partiti si appropriano di agende tecniche non solo manca la visione, ma anche gli strumenti per poterla realizzare. La differenza tra Draghi e i partiti è esattamente lì: Draghi è un tecnico che non fa politica. I partiti, invece, sono politici e non fanno i tecnici al governo.
In tutto questo, Mario Draghi è riuscito a dare una lezione politica enorme. Nonostante la fiducia ha mantenuto la parola data due anni fa: senza il consenso parlamentare iniziale, diceva, non avrebbe continuato l’avventura. E in perfetto stile anglosassone si è dimesso, lo stile di politica e di democrazia che noi Radicali cerchiamo di portare avanti a colpi di referendum e iniziative cittadine da circa 50 anni, modello che trova concretezza nel referendum del ‘ 93 per il sistema uninominale, mai rispettato fino in fondo. Non possiamo scippare l’agenda Draghi come bambini in seconda elementare. Prendiamo piuttosto esempio dalla postura politica mantenuta fino in fondo da un Presidente del Consiglio che politico non è.