DOPO DUE MESI DI GUERRA WASHINGTON HA CAMBIATO STRATEGIA

Cogliere la palla al balzo, perché la politica, come la guerra, è fatta di occasioni. Se poi le occasioni servono a regolare i conti con lo storico nemico come non ingolosirsi?

Inutile nasconderlo, Joe Biden, e a rimorchio Boris Johnson, stanno cambiando strategia: se all’inizio dell’invasione l’obiettivo era la difesa della giovane Ucraina e del suo governo, dopo due mesi le cose sono cambiate.

Vladimir Putin, che sperava in una vittoria lampo, si ritrova impantanato in un conflitto novecentesco, con la fanteria, i carri armati, gli eccidi e le battaglie. Il suo esercito è dominante per dimensioni ed equipaggiamenti ma i costi umani ( 20mila i soldati russi che hanno perso la vita al fronte) ed economici della cosiddetta “operazione speciale” sono altissimi, Per conquistare Mariupol ad esempio ci sono voluti sessanta giorni di bombardamenti e combattimenti feroci e così in altre città e villaggi. Allo stesso tempo l’idea di un cambio di regime a Kiev sembra definitivamente tramontata.

Le generose forniture di armi e munizioni allo stato maggiore da parte dell’Occidente hanno rallentato l’offensiva russa, protetto la capitale e la parte ovest dell’Ucraina, rafforzando la resistenza oltre ogni previsione.

Come ha detto il segretario di Stato Usa Blinken incontrando il presidente ucraino Zelensky e oscillando tra realtà e propaganda: «La Russia sta fallendo gli obiettivi». Non che questo sia necessariamente esatto ma la frase del capo della diplomazia statunitense illustra bene il “balzo in avanti” e la rinuncia al mero logoramento dell’avversario.

In un simile contesto la semplice ritirata delle truppe del Cremlino dentro i propri confini sembra non bastare più agli alleati, o almeno alla loro frangia più atlantista.

Perché non approfittarne quindi per destabilizzare il capo del Cremlino e il suo sistema di potere?

Questo il pensiero che a mano a mano si è fatto largo tra Washington e Londra.

Le stesse durissime sanzioni economiche che hanno colpito Mosca non sono più mirate a far cessare l’invasione dell’Ucraina ma, a medio e lungo termine, a soffocare il Cremlino nella speranza di rovesciare il “putnismo”, o comunque di acuire le sue contraddizioni interne. Una scommessa pericolosa che si gioca su una linea di confine molto sottile, dove la guerra “per procura” può rapidamente scivolare in un confronto diretto. A dirigere l’escalation il socio di maggioranza della Nato e il principale antagonista globale di Mosca: gli Stati Uniti.

Così, se prima dello scoppio della crisi Biden invitava ragionevolmente tutti gli attori in campo a «prevenire il confronto diretto tra Nato e Russia» nel timore di scatenare una guerra mondiale, adesso quella paura sembra scomparsa come i tabù che fin qui l’accompagnavano. Ieri il capo del Pentagono Lloyd Austin lo ha sottolineato con chiarezza in conferenza stampa a Ramstein, in Germania: «Vogliamo rendere più difficile per la Russia minacciare i suoi vicini e indebolirla in questo senso».

Quali siano poi i limiti di questa opera di indebolimento non è dato saperlo.

Intervistato dalla Bbc il viceministro della Difesa britannico James Heappey si è spinto ancora più in là: «È completamente legittimo attaccare il suolo russo con le nostre armi». Dichiarazioni decisamente spigliate per usare un eufemismo, a cui è seguita la pronta replica della Russia: «Se verremo attaccati sul nostro territorio con armi occidentali ci sarà una pesante rappresaglia e colpiremo anche i paesi della Nato», ha ringhiato Maria Zacharova, portavoce del ministero degli Esteri russo. Parole che seguono di 24 ore quelle del titolare Sergei Lavrov che lunedì aveva addirittura evocato il rischio di un «conflitto nucleare» tra potenze.

Insomma, tutto il contrario della sperata de- escalation e della soluzione diplomatica al conflitto. Per ora sono solo dichiarazioni, propaganda incrociata, scenari possibili ma non inevitabili. La carne viva della crisi è infatti ancora tutta sul fronte di guerra, nelle città ucraine martellate dall’artiglieria di Mosca, nelle furiose battaglie in corso nell’est del paese, nei crimini contro i civili. La fine dell’invasione militare e il ritiro dell’armata russa è la conditio sine qua non per sedersi attorno a un tavolo e negoziare la pace. Il problema è capire se la pace sia davvero il primo obiettivo per tutti.