L'Italia sta finalmente uscendo da una recessione lunga e profonda e sperimenta un primo, importante, momento di crescita persistente, anche se a bassa intensità. È l'analisi dell'Istat nel Rapporto Annuale 2016, da cui emerge tuttavia anche che crescono le diseguaglianze e resta alto l'allarme povertà.L'indicatore di grave deprivazione materiale, che rileva la quota di persone in famiglie che sperimentano situazioni di disagio, si attesa nel 2015 all'11,5%, stabile rispetto al 2014; quasi due persone su tre in condizioni di deprivazione nel 2015 lo erano anche nel 2014. Nel Mezzogiono, la quota di persone gravemente deprivate risulta oltre tre volte più elevata che al Nord. Continuano ad aumentare le famiglie jobless, quelle cioè in cui nessuno ha un lavoro, arrivando nel 2015 a 2,2 milioni, ed 1 su 4 è al Sud. Se il Pil è stato in rialzo dello 0,8% lo scorso anno e secondo la stima preliminare, è salito dello 0,3% (+1% su base annua) nel primo trimestre 2016, la disuguaglianza nella distribuzione del reddito non accenna a ridursi. In dieci anni (1990-2010) è passata da 0,40 a 0,51, l'incremento più alto tra i paesi per i quali sono disponibili i dati. A pagare il prezzo più elevato della crisi economica sono stati i minori. L'incidenza di povertà relativa per i minori, che tra il 1997 e il 2011 aveva oscillato su valori attorno all'11-12%, ha raggiunto il 19% nel 2014. Il sistema di protezione sociale nel nostro Paese - ha fatto notare il presidente dell'Istat Giorgio Alleva - risulta tra i meno efficaci in Europa nel proteggere le persone dal rischio di cadere in povertà: i trasferimenti sociali riducono la povertà di 5,3 punti a fronte di una media europea di circa 9. Il sistema di trasferimenti italiano (escluse le pensioni) non è in grado di contrastare la dinamica di costante impoverimento. La crescente vulnerabilità dei minori - ha sottolineato Alleva - è legata alle difficoltà dei genitori a sostenere il peso economico della prima fase del ciclo di vita familiare, a seguito del progressivo deteriorarsi delle condizioni del mercato del lavoro. Instabilità e precarietà lavorativa, che riguardano principalmente i giovani e le donne, sono tra i fattori che generano i maggiori svantaggi distributivi. Rimane forte il legame tra i redditi percepiti e il contesto socio-economico della famiglia di provenienza, legame che tende a ostacolare i processi di mobilità sociale. Il capitale umano, invece, è ancora un importante fattore di protezione. Il calo del tasso di occupazione è stato più contenuto per i laureati (dal 78,5% del 2008 al 76,3% del 2015) rispetto a chi ha conseguito solo la licenza media o un diploma. Ma il titolo di studio incide anche sulla speranza di vita: a 80 anni la quota di uomini laureati sopravviventi è del 69%, contro il 56% di chi ha al massimo la licenza media.