CENSURARE GRAMSCI

ORDINARIO STORIA CONTEMPORANEA

Piero Sraffa censura Gramsci sulla caduta tendenziale del saggio di profitto.

Piero Sraffa infatti impiegò 5 anni a trovare un editore che nel Regno Unito pubblicasse la traduzione delle Lettere dal carcere di Antonio Gramsci.

L’accusa, lanciata a questultimo nel 1926 da uno stretto esecutore di Stalin ( D. Manuilskij), di essere un trotskista, aveva varcato il Mediterraneo e la Manica. Ma l’editore inglese Lehmann, adducendo la penuria di carta, insistette a chiedere tagli e accorciamenti dei manoscritti gramsciani.

Di qui le reazioni sia del traduttore Hamish Henderson sia di chi lo aveva scelto ( cioè Sraffa) e del presidente dell’Istituto Gramssci Ambrogio Donini. Fino alla decisione finale di chiudere il rapporto e rivolgersi all’editore inglese del partito- fratello, Lawrence & Wish art. La recente inappuntabile raccolta- da parte di Tommaso Munari- delle Lettere editoriali ( 1947- 1975) di Piero Sraffa, edite da Einaudi, consente di fare dei passi avanti. Fino a sollevare dei dubbi sul mandato di esecutore testamentario che Gramsci affidò a Sraffa durante la degenza nella clinica Quisisana di Roma ( dove morirà il 27 aprile 1937).

In questa delega non risulta fosse compresa la discrezionalità sulla pubblicazione parziale, o addirittura sull’omissione, dei testi redatti in carcere.

Le Lettere nel Regno Unito vedranno la luce nel 1952. In Italia erano uscite nel 1947.

Ma il comportamento di Sraffa( che si lamenta dei cuts chiesti ed eseguiti, in fase preparatoria delle bozze di stampa, dall’editore del Regno Unito) suona assai bizzarra e, in quanto studioso, incoerente.

Non poteva stracciarsi le vesti, dal momento che la politica degli interventi( per omissioni, censure ecc.) a carico del manoscritto gramsciano aveva avuto dei precedenti.

Il primo e più illustre fu quello di Palmiro Togliatti. Aveva teorizzato il principio non della assoluta intangibilità dei manoscritti carcerari di Gramsci, ma una regola assai diversa: quello della maggiore o minore ’” utilità per il partito”.

Le Lettere e i Quaderni lasciati da Gramsci, scrive Togliatti il 25 aprile 1941 al presidente del Komintern, G. Dimitrov, “contengono materiali che possono essere utilizzati solo dopo un’accurata elaborazione. Senza tale trattamento il materiale non può essere utilizzato e alcune parti, se fossero utilizzate nella forma in cui si trovano attualmente potrebbero non essere utili al partito”.

E’ stata documentata da molti storici la conseguenza di questo approccio di Togliatti. Si trattò di una vera e propria battaglia che egli volle combattere per fare in modo che l’eredità letteraria di Gramsci venisse sollecitamente sottratta al possesso e al controllo della moglie Giulia( e in generale della famiglia Schucht). Erano entrate in rotta di collisione con Togliatti fino a chiedere, a suo danno, un intervento personale di Stalin..

Ma questo fu il primo passo per rendere possibile quel che avverrà subito dopo: la nomina.- ad opera di Domitrov e su imput di Stalin- di una commissione che riservò l’accesso e la gestione dei Quaderni del carcere al solo Togliatti.

E’ assai noto l’uso parziale, con diverse omissioni e censure, che Togliatti ne fece. Non è da meno la replica che ne è seguita, cioè la ripetizione inattesa che ha luogo negli appunti che Sraffa scrive al senatore Felice Platone( al quale Togliatti aveva affidato la gestione dei rapporti con Giulio Einaudi per la pubblicazione degli scritti dal carcere) ed egli trasmette a segretario del Pci, l’ 8 marzo 1947.

Entrambi concordano nell’accogliere la proposta dei tagli di Sraffa.

Il riferimento è alle bozze di stampa del volume Il materialismo storico e la filosofia di Benedetto Croce. Sraffa raccomanda di non pubblicare la scheda delle Noterelle di economia di Gramsci intitolata Economia classica ed economia critica. E’ la sola che ritiene di insufficiente meditazione, “non degna di pubblicazione”, perché “vi è un’impressione di superficialità che non si riscontra in alcuna delle altre note economiche “. Quello del grande economista di Torino, fellow del King’s College di Cambridge, non è un invito a introdurre una semplice, ininfluente correzione. Si tratta piuttosto della richiesta di operare una vera e propria mutilazione, che corrispondeva di fatto ad una censura.

Al centro delle divergenze c’è, infatti, il rapporto di condiscendenza di Gramsci ad una lettura ( o interpretazione) di Marx operata da Benedetto Croce su due questioni cruciali.

La prima consiste nell’identificazione dell’” economia classica” ( come la chiama Gramsci per ragioni di sicurezza) con l’economia borghese contemporanea. Come emergerebbe “dall’affermazione che essa giunge al concetto di valore ‘ con l’utilità marginale’( p. 456 de Il materialismo storico e la filosofia di Benedetto Croce), questutima è notoriamente – scrive Sraffa- un’invenzione degli economisti borghesi post- marxisti e anti- marxisti”. Al contrario di quanto ritiene in maniera contraddittoria il vecchio amico dell’Ordine Nuovo ora in carcere ( cioè Gramsci), secondo Sraffa “tutta l’idea di concorrenza“ si basa sul l’idea che “il lavoro socialmente necessario” interessi, non escluda per nulla, l’economia borghese.

In secondo luogo, Gramsci non si rende conto che il termine ” costi comparati”, da lui usato, nell’economia classica “ha un senso tecnico ben preciso” perché viene usato in relazio ne al commercio internazionale”. E comunque, avverte Sraffa, la teoria dei costi comparati non è caratteristica dell’economia borghese, bensì dell’economia classica propria mente detta ( Ricardo)”.

La seconda disparità di giudizi risiede nell’interpretazione della caduta tendenziale del saggio di profitto.

Gramsci, non avendo sottomano il testo di Marx, sarebbe rimasto prigioniero della versione ( secondo Sraffa fraintesa e travisata) offertane dal Croce. Il che sarebbe successo anche per la nota sulla “teoria del valore”, in cui Gramsci fa risalire a Ricardo la sua origine.

Per quanto concerne la caduta tendenziale del saggio di profitto, nella minuta della sua lettera inviata a Platone ( marzo 1947), Sraffa ribadisce ulteriormente il rilievo che Gramsci “si aggiri entro i limiti e gli assunti fissati dal Croce, che ritengo fondamentalmente sbagliati”. A suo avviso “la legge di Marx” non è “verificabile statisticamente” dal mo mento che ha un valore metodologico e non storico. In altri termini in ogni società capitalistica tanto il saggio del plusvalore quanto quello del profitto sarebbero “straordinariamente stabili nel tempo”.

Non per questo la “legge di Marx” ne verrebbe pregiudicata dal momento che egli la ritiene “tendenziale”, cioè che “essa sia il risultato dell’azione di un gruppo di forze ( accumulazione) supponendo che altre forze ( progresso tecnico, nuove invenzioni e scoperte) non operino”.

La caduta tendenziale costringerebbe i capitalisti a continue rivoluzioni tecniche onde evitare la caduta del saggio di profitto.

Croce si sarebbe comportato come uno che “affastella tutte queste forze” e poi può trionfalmente proclamare che “il loro risultato non è la tendenza alla caduta” .

C’è il dubbio che queste distinzioni siano più di Sraffa che di Marx, ma Gramsci ( insi beme ad altri marxisti) si sarebbe adeguato a questa conclusione di Croce.

L’esito è, dunque, quanto non si dice, e non si può ammettere neanche tra due comunisti indisciplinati ( quali erano Gramsci e Sraffa), cioè che la teoria dell’imperialismo sarebbe fortemente inficiata. Non si tratta, dunque, solo di condiscendenza. Ad essere coinvolti furono gli economisti marxisti contemporanei.

Da parte sia di Sraffa sia di Gramsci sono sottoposti ad una dura critica. Anzi, ad avviso del’economista torinese, la parte migliore della nota econonica di Gramsci- che Sraffa raccomanda di espungere dalle bozze- consisterebbe proprio nell’attacco rivolto ad essi ( cioè nel paragrafo che segue alle pp. 458- 459).

MAXI MURALE DI GRAMSCI A FIRENZE. JORIT L’ARTISTA, HA INIZIATO LA FASE PRELIMINARE DEL DISEGNO TRACCIANDO IN TUTTA LA PARETE UNA FRASE TRATTA DA LETTERE DAL CARCERE: «ANCHE QUANDO TUTTO È O PARE PERDUTO BISOGNA RIMETTERSI TRANQUILLAMENTE ALL’OPERA, RICOMINCIANDO DALL'INIZIO… »

A londra i testi di gramsci rimasero inediti

LA RECENTE INAPPUNTABILE RACCOLTA- DA PARTE DI TOMMASO MUNARI- DELLE LETTERE EDITORIALI ( 1947- 1975) DI PIERO SRAFFA, EDITE DA EINAUDI, CONSENTE DI FARE DEI PASSI AVANTI.

FINO A SOLLEVARE DEI DUBBI SUL MANDATO DI ESECUTORE TESTAMENTARIO CHE GRAMSCI AFFIDÒ A SRAFFA DURANTE LA DEGENZA NELLA CLINICA QUISISANA DI ROMA