È l’unico leader comunitario in grado di opporsi al bellicismo angloamericano

Di fatto e senza bisogno di dichiararlo apertamente l'Europa è rimasta per almeno tre settimane in uno stato di sospensione, in attesa dell'elezione del presidente della Francia. In ballo non c'era solo la guida di uno dei due principali Paesi europei ma la sopravvivenza stesa dell'Unione: posta troppo alta per metterla a rischio con una parola incauta o con un incidente diplomatico.

Ora però la parentesi francese è chiusa e l'Unione dovrà decidere se giocare un ruolo, e quale, nella partita mondiale che si gioca in Ucraina oppure no.

Sin qui l'Europa ha subìto l'iniziativa anglo- americana senza praticamente toccare palla, provando solo a frenare l'impeto dell'asse Washington- Londra. Lo ha fatto soprattutto la Germania che però proprio ieri ha capitolato sul fronte delle armi. La visita europea del segretario di Stato americano Blinken e del capo del Pentagono Austin sembra aver dato i suoi frutti con rapidità sbalorditiva.

Dopo aver detto per una settimana no all'invio di armi pesanti destinate all'esercito ucraino, Berlino ha ingranato ieri la retromarcia dichiarandosi pronta a spedire i carri armati.

La resistenza sarà certamente molto più robusta sul fronte dell'energia, perché per la Germania evitare l'embargo sul gas russo reclamato dall'Ucraina e dalla Casa Bianca è questione di vita o di morte e la stessa Francia chiederà di procedere con cautela anche per quanto riguarda le forniture, meno nevralgiche ma pur sempre significative di petrolio. Ma rallentare o dosare le iniziative di Washington è cosa molto diversa dal dispiegare e mettere in campo un'iniziativa propria e da quel punto di vista l'Europa sembra rassegnata a essere tagliata fuori dai processi decisionali. In parte, ma solo in parte, dipende che nella pria fase della guerra gli interessi della Ue e quelli degli Stati Uniti erano strategicamente meno confliggenti. Certo alla Germania non ha fatto alcun piacere dover rinunciare al gasdotto North Stream 2 proprio alla vigilia di una entrata in funzione che avrebbe abbassato drasticamente il costo dell'energia in quel Paese.

Con altrettanta certezza si può dire che l'Italia ha accolto all'inizio la scelta di sanzioni destinate a frenarne di molto la ripresa con un disappunto tanto evidente da destra, nei primi giorni di guerra, le ire di Washington. Ma sulla necessità di impedire il crollo dell'Ucraina e la sua rapida conquista da parte di Putin la convergenza era piena e totale e lo era anche, di conseguenza, la decisione di armare l'Ucraina.

Quell'interesse identico ha però iniziato a divaricarsi, almeno negli obiettivi di fondo, quando gli Usa hanno modificato la loro strategia iniziale sostituendo all'obiettivo di ' resistere' quello di ' vincere'. Per l'Europa l'ipotesi di una guerra lunga, di un conflitto diretto ma anche solo di sanzioni sempre più dure e prolungate senza limite sono veri e propri incubi. Il caso italiano è esemplare: le cifre del Def correggono in senso peggiorativo tutte le previsioni di crescita precedenti ma in misura ancora non disastrosa.

Quelle cifre però, avvertono un po' tutti dall'Fmi a Confindustria e Bankitalia, sono realistiche solo nella prospettiva di una guerra breve o almeno non troppo lunga. Ma per rendere quella prospettiva praticabile sarebbe necessaria un'iniziativa diplomatica autonoma che l'Europa non è stata sinora in grado neppure di ipotizzare.

A riempire di piombo le ali di Bruxelles sono diversi elementi: la pressione americana, mai così massiccia, la divisione interna all'Unione, con i Paesi baltici e la Polonia che fanno da sponda ai falchi e mettono l'Unione a rischio di spaccatura, i condizionamenti di Kiev, che si sono già dimostrati efficacissimi.

Ma anche, e forse soprattutto l'assenza di una vera leadership. Angela Merkel, che assolveva a quel compito, non c'è più. Olaf Scholz, appena insediato, non può certo sostituirla, Mario Draghi, il delfino in pectore, sconta i sospetti che circondano la sua maggioranza, composta in parte essenziale da ex amici di Vladimir Putin dei quali gli alleati si fidano zero.

La vittoria di Emmanuel Macron, con un vantaggio tale da consentirgli ampia libertà d'azione, può supplire all'ultimo più grave limite.

Il presidente francese è oggi il solo in grado, con il supporto di Scholz e Draghi, di provare a restituire all'Europa un ruolo autonomo da Stati Uniti e Gran Bretagna che potrebbe essere solo quello di una ricerca della mediazione. Senza impossibili equidistanze ma anche senza cedere alla tentazione di cercare il colpo da KO.