«La morte di Abu Bakr potrebbe segnare una sorta di “semplificazione” ( e radicalizzazione) nella guerra civile in corso nel mondo islamico, che, intrecciandosi ad altri conflitti geopolitica in corso, si sta sviluppando in più teatri: Libia, Siria, Yemen, per limitarci a quelli più “visibili».

In Occidente pensiamo che i principali conflitti nell’Islam si sviluppino sulla linea divisoria tra sunniti e sciiti. Ma non è così. Gli sciiti sono una minoranza sul piano numerico ( circa il 15% dei musulmani). Il grande scontro in atto è tra l’” Islam popolare”, quello che persegue l’” alternativa islamica” ( primato della comunità sull’individuo, lotta alle ingiustizie sociali) quale risposta alla crisi ( vera o presunta dell’Occidente e del capitalismo) e il fronte della stabilizzazione sullo status quo.

È in gran parte uno scontro intrasunnita, che vede la Turchia ( il progetto neottomano di Erdogan va letto in questa chiave) e il Qatar, da una parte, e il fronte dei Paesi arabi rappresentato da Arabia Saudita, Egitto e Emirati Arabi Uniti, dall’altra. Ma gli sciiti sono coinvolti, in quanto accomunati ideologicamente all’Islam popolare ( si considerino le grandi affinità tra la Fratellanza e un’organizzazione sciita come Hamas).

Lo “sceicco nero” era in una posizione eccentrica in questo quadro. Detestato dall’Islam conservatore ( fu condannato da un gruppo di teologi sunniti che lo accusarono di interpretazione arbitraria del Corano), ma considerato un nemico dall’Islam popolare ( le truppe della Fratellanza hanno combattuto duramente contro l’Isis in Libia). Aveva una posizione fanaticamente antisciita. A mio avviso, ciò era evidente già nella scelta del nome: Abu Bakr al- Baghdadi, con un chiaro richiamo ad Abu Bakr ? Abd Allah ibn Abi Quhafah, detto al-? iddiq (“il grandemente veritiero”), amico del Profeta Mu? ammad e suo primo successore. Abu Bakr è il primo dei quattro “califfi ben guidati”, padre di Aisha, la moglie prediletta del profeta Muhammad, e storica rivale di Ali, ultimo dei quattro califfi “ben guidati”, ucciso nel 661, e i cui seguaci diedero vita alla “grande divisione nell’Islam”, ovvero al movimento sciita.

Certamente, Abu Bakr era molto più funzionale al fronte saudita che non all’altro. Però tra i suoi combattenti, molti sono animati da una visione ideologica molto vicina a quella dell’Islam popolare.

Mi riferisco alla componente giovanile e a quella proveniente dall’Occidente. Diverso il caso dei militari sunniti provenienti dall’esercito di Saddam. La morte del capo dello Stato islamico, contrariamente a quel che sento dire in giro, potrebbe effettivamente portare a una dissoluzione di quel che resta dello Stato islamico, nel senso che i suoi militanti sarebbero assorbiti, a seconda delle storie personali e delle circostanze, nei due fronti suddetti: ad esempio, la componente qaedista potrebbe essere maggiormente attratta dal fronte saudita, mentre i giovani provenienti dall’Europa potrebbero dirigersi verso l’Islam popolare.

Questo, paradossalmente, comporta un accrescimento della minaccia terroristica, nell’area e in Occidente. I combattenti provenienti dallo Stato islamico potrebbero diventare uno strumento di terrore e destabilizzazione nelle mani dei big players dello scontro intrasunnita».

* Direttore del Corso di laurea magistrale in Investigazione, Criminalità e Sicurezza internazionale - Università degli Studi internazionali di Roma - UNINT