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Ci sono ferite che non si possono rimarginare, fratture che è impossibile ricomporre se non per finta e per poco. La guerra guerregiata a colpi di richieste incrociate di dimissioni, nella maggioranza, è una di quelle rotture insanabili. Non significa che ci sarà di certo la crisi domani e neppure il giorno dopo le elezioni europee, per quanto nessuna delle due possibilità si possa davvero escludere. Significa però che la scontro acerrimo in corso segna uno scarto e una cesura. Inaugura una nuova fase nella parabola della maggioranza gialloverde: la terza e presumbilmente l'ultima.
La prima fase, dalla formazione del governo al varo della legge di bilancio nel dicembre scorso, è stata la fase della solidarietà, basata in buona misura, ma non esclusivamente, sul legame personale tra i due leader e vicepremier. Quella fase ha toccato il picco quando, lasciando sbalorditi i piani alti delle istituzioni sia a Roma che a Bruxelles, Salvini ha rotto l'accerchamiento che si stava stringendo intorno a Di Maio spalleggiandolo nella richiesta di inserire subito nella manovra il reddito di cittadinanza.
Ma con il varo della finanziaria l'idillio è finito, laluna di miele si è esaurita.
Il declino della solidarietà si deve a motivi diversi ma convergenti. Il nocciolo duro del contratto, ciò che davvero i due soci della maggioranza intendevano portare a termine insieme, consisteva nelle misure inserite nella legge di bilancio. Il resto era ed è molto più vago, fumoso e soprattutto meno condiviso. In secondo luogo, e l'elemento è stato decisivo, ci si è messo il declino dei 5S nei sondaggi prima e nei voti sonanti delle Regionali poi. Una sirena d'allarme a distesa che ha stracciato ogni rimasuglio d'intesa tra Lega e M5S. La conseguenza non è stata una plateale rottura.
E' stata la paralisi. Da gennaio il governo è immobile. Procede a colpi di rinvii, come sull'Ilva e sulle autonomie, di decreti varati in nome della necessità e dell'urgenza ma poi tenuti per settimane nel cassetto, come il decreto Crescita, oppure di decreti sbloccati per non perdere la faccia e sempre dopo tempi biblici, come lo Sbloccacantieri, ma sempre ' salvo intese'. In termini di consenso il gioco funzionava in maniera egregia: occupando allo stesso tempo le caselle del governo e quelle dell'opposizione la maggioranza veleggia nei sondaggi intorno al 60% dei consensi, costretta però, non solo sul piano del governo ma anche della semplice amministrazione, a non muovere un dito.
La paralisi era anche il prezzo da pagare per poter fingere un'unità e una solidità ormai evaporate. Ma le finzioni, in politica, hanno una loro utilità, possono essere preziose. Per quanto fittizia, la messa in scena dell'unità, il reiterato impegno a procedere senza terremoti ancora a lungo, ha evitato scossoni sui mercati, ha impedito che l'Italia venisse considerata nelle borse e a Bruxelles come un Paese ' fuori di controllo'.
Sul piano del consenso, poi, il gioco ha funzionato in maniera più che egregia.
Quella recita è finita due giorni fa. Il governo, d'ora in poi, sarà non solo bloccato ma anche visibilmente rissoso o peggio. Ma proprio perché la lacerazione è ormai del tutto esposta, il lasso di tempo che probabilmente passerà prima che la rottura sia ufficializzata non sarà affatto indolore.
Dopo le elezioni, perché nessuno mira a uno scontro a urne quasi aperte, Bruxelles valuterà proprio lo stato della maggioranza e la solidità del governo per decidere come muoversi, e a fronte di una simile fragilità procederà di conseguenza. La speculazione sa già di avere di fronte una maggioranza che è tale solo di nome e un governo di conseguenza debolissimo. Non perderà l'occasione. Ma il riflesso sarà anche più immediato all'interno.
Stabilità del governo e fiducia dei consumatori, si sa, vanno a braccetto. Già ieri l'Istat ha certificato che quella fiducia è in picchiata e la situazione, salvo svolte miracolose nelle prossime settimane, peggiorerà. Per un Paese che ha un macroscopico problema di domanda interna e che ha impostato l'azzardo della scorsa legge di bilancio puntando proprio sul rilancio della domanda interna, dunque dei consumi, non si tratta di uno scoglio come tanti ma di un iceberg di quelli che affondano anche i transatlantici. Sulla carta evitare il naufragio sarebbe ancora possibile. Bisognerebbe però che i partiti della maggioranza avessero il coraggio di mettere da parte le esigenze della campagna elettorale per salvare il salvabile ora. Di questo passo, infatti, dopo le europee potrebbe essere troppo tardi. Per un po' la maggioranza ha vissuto ed è personi cresciuta nei consensi giocando a essere allo stesso tempo sia governo che opposizione.
Ora dovrebbe avrebbe avere il coraggio di essere solo governo, altrimenti finirà per essere, ammesso che già non lo sia, solo opposizione e non è una condizione che possa durare a lungo