Gli scatoloni sono pronti. In valigia infileranno all’ultimo vestiti, shampoo, spazzolino. Pochi mesi per lasciare la casa - pignorata - dove hanno vissuto vent’anni.

Luciano Passeri e la sua famiglia, moglie con un’invalidità parziale e tre figli, hanno saputo a marzo di avere un mese per lasciare il loro appartamento a Grotte Santo Stefano (Viterbo). Dal giudice hanno ottenuto una proroga che dà loro un po’ di respiro: il trasloco forzata sarà il 30 maggio.

«Ho accumulato debiti con due banche per circa 120mila euro», spiega Luciano, 53 anni, rappresentante di un’azienda viterbese del settore termoidraulico. «Prima la crisi e le provvigioni diminuite, poi una serie di cartelle esattoriali. Alla fine non riuscivo più a pagare né quelle, né il mutuo di casa».

Luciano è uno dei tanti nel limbo pre- legge Bramini, dal nome dell’imprenditore monzese fallito, che lamentava crediti milionari mai riscossi dalla pubblica amministrazione. Il Consiglio superiore della magistratura ribatte che aveva più debiti che crediti con lo Stato. Al di là della storia dell’imprenditore, la legge che porta il suo nome è una boccata d’aria per chi rischia di perdere un tetto: riscrive l’articolo 560 del codice di procedura civile, rimandando gli sloggi forzati. «Una rivoluzione», spiega l’avvocato Biagio Riccio, legale di Bramini, che ha collaborato alla stesura del decreto legge. «Un conto è mandare via di casa il debitore quando l’asta non è ancora iniziata, un conto con il decreto che trasferisce l’immobile all’aggiudicatario: ci vogliono anni per completare un’asta (in media cinque, ndr). Rinviando lo sloggio si dà tempo al debitore di organizzarsi, cercare una sistemazione o un accordo coi creditori». Ma la legge Bramini non è uguale per tutti: non è retroattiva, come l’imprenditore voleva. Si applicherà alle prossime esecuzioni immobiliari, dall’entrata in vigore della norma, a febbraio 2019. Dormirà sonni tranquilli solo chi se la vedrà pignorare d’ora in poi; niente da fare per chi ha già dato le chiavi ai custodi; poi c’è il rebus di Luciano e gli altri, pignorati ma non ancora sloggiati: una platea potenziale di decine di migliaia di esclusi sui quali si deciderà caso per caso, perché la vecchia normativa fa scegliere al giudice in quale momento svuotare l’immobile.

«Si creeranno disparità di trattamento a parità di situazioni» dichiara Alessia Colonna, avvocato di Luciano Passeri. «La legge Bramini ha il pregio di regolamentare univocamente la materia e il difetto di abbandonare a se stesse le esecuzioni pendenti. Chi resta in casa risparmierà su un affitto, almeno in un primo periodo e forse anche lungo, contrariamente a chi viene sloggiato. E ricordiamo che si tratta di soggetti in forti difficoltà economiche, per i quali accollarsi un’ulteriore spesa fa la differenza. Se il debitore viene mandato via, inoltre, aumenta la parcella del custode che dovrà fare manutenzione: una casa vuota si logora. Queste spese supplementari, per noi, si potevano evitare. Con la legge Bramini retroattiva ma anche con la vecchia normativa, che lascia ampia discrezionalità ai giudici, tant’è che è interpretata nei modi più vari». Luciano ne è un esempio: nell’estate 2017, il tribunale lo aveva autorizzato ad abitare a casa coi familiari fino all’aggiudicazione. Cambia magistrato, cambia scenario: il nuovo giudice delle esecuzioni impone lo sloggio. «Abbiamo fatto notare continua l’avvocato Colonna che si tratta di una famiglia con figli e una moglie parzialmente invalida che non può lavorare. Hanno sempre collaborato col custode, avrebbero mostrato senza problemi l’appartamento agli acquirenti. Siamo già stati a un passo dal sospendere l’esecuzione perché avevamo trovato un accordo con le banche. Si poteva aspettare di vedere come proseguivano le trattative».

TUTTO PUÒ SUCCEDERE

Per il tribunale, però, si è aspettato abbastanza. Svuotare casa di Luciano «rende più probabile la vendita al giusto prezzo di mercato», mentre la presenza dei proprietari «determina nei potenziali acquirenti incertezza in ordine ai tempi di consegna e disincentiva la partecipazione alla gara». Prima si sgombera, prima si vende, prima si salda; un orientamento condiviso dal Csm, nelle linee guida sulle esecuzioni immobiliari di giugno 2018. Oltre a suggerire “le migliori prassi funzionali a migliorare i tempi, quindi anche i risultati delle procedure esecutive”, il Csm riporta i dati dell’ultimo monitoraggio. Se è vero che il 67% dei tribunali italiani che hanno risposto al questionario ( 84 su 126) emette l’ordine di liberazione prima dell’aggiudicazione e il 33% dopo, è anche vero che, sul piano dell’attuazione, non solo ogni giudice - quindi ogni tribunale fa scelte diverse, ma spesso la pratica contraddice la teoria. E l’indirizzo prediletto del Csm, di “anticipare l’emissione dell’ordine di liberazione rispetto al momento dell’aggiudicazione”, si applica solo a macchia di leopardo. Il 42% degli sloggi avviene dopo l’aggiudicazione; il 29% durante i tentativi di vendita successivi al primo; il 18% prima della prima asta e l’ 11% dopo il decreto di trasferimento. Quest’ultima prassi, ormai regola con la legge Bramini, per il Csm è “discutibile”. E però, ribattono i legali, introduce un diritto nuovo per i debitori, che dovrebbero poterne beneficiare tutti; Colonna e Riccio fanno lo stesso esempio: «La legge evolve con la società. Semplificando, è un po’ come se continuassimo a punire l’adulterio anche se il reato non c’è più. Qui parliamo di diritti, non di reati, ma il concetto è identico. Si introduce un diritto nuovo il diritto di restare in casa propria più a lungo possibile - precludendolo ad alcuni». Per il legale dell’imprenditore monzese i giudici hanno un’autostrada per venire incontro ai debitori, a prescindere dall’irretroattività: «Si chiama ius superveniens: diritto sopraggiunto, in favore della parte più debole. Per chi è già stato espropriato non c’è rimedio: nemmeno Bramini tornerà a casa. Ma per le procedure in corso i giudici potrebbero attenersi al nuovo orientamento proprio perché la vecchia norma lo consente».

La famiglia Passeri spera e chiede aiuto ma non opporrà resistenza il 30 maggio: «Consegneremo le chiavi anche prima. Perdere la casa è già un’umiliazione: lo faremo in silenzio e senza scomodare nessuno». Le lettere alle istituzioni non si contano più: «Ho scritto al sindaco, al prefetto, a Salvini, a Di Maio, Conte e Mattarella, solo per citarne alcuni. Il Viminale mi ha indirizzato ai servizi sociali che hanno saputo dirmi solo che ‘ è una questione legale’, ma questo lo sapevo già. La prefettura si è impegnata a fare da intermediario con le banche, ma finora nulla si è mosso».

Nei momenti più duri ha pensato anche di farla finita. «Non risolverebbe il problema. Ma il fatto è che non sono certo di risolverlo neanche andando via di casa, anzi…». La prima asta, a marzo, è andata deserta; il valore dell’appartamento deprezzato di oltre 50mila euro. Alla seconda asta, il prezzo scenderà ancora, così come a ogni ulteriore tentativo di vendita. «Se diventerà più basso del mio debito, continuerò a pagare la differenza non so per quanto. Io casa la lascio, ma potrebbe non bastarmi a saldare né a togliermi il marchio di cattivo pagatore. È un tunnel senza fondo e senza luce».