In questi giorni tra i giornalisti italiani circola un gioco di società che appassiona decisamente più delle bombe che sventrano le città ucraine o dei destini delle popolazioni in guerra: quali citazioni regalerà Volodymyr Zelensky al nostro Parlamento?Parlando ai deputati britannici ha citato Shakespeare e Churchill, al congresso Usa Martin Luther King e l11 settembre, al Bundestag il Muro di Berlino, stamane a Montecitorio cosa tirerà fuori dal cilindro? Dante e Garibaldi? Mussolini e la resistenza partigiana? Il quesito è spesso accompagnato da sorrisetti di sufficienza, nasini arricciati e dalla malcelata speranza che il presidente-attore possa inciampare in qualche gaffe, dimostrando quanto sia inadeguato nel suo ruolo di leader di un Paese martellato dalle bombe e che si ostina a non arrendersi allo strapotere militare del nemico. La pensa senzaltro così la pittoresca pattuglia di parlamentari neutralisti, se non chiaramente putiniani, che domani boicotterà il suo discorso a Montecitorio come il leghista Pillon (sic) i pentastellati Lorenzoni e Segneri, lex grillino e oggi comunista Emanuele Dessì, riscopertosi grande ammiratore del bielorusso Lukashenko. Ci hanno comunque provato questo fine settimana a farlo passare per fesso, dopo lintervento alla Knesset in cui Zelensky avrebbe scioccato lopinione pubblica israeliana paragonando linvasione dellarmata russa alla soluzione finale del Terzo Reich. Ma se i media italiani hanno ricamato fior di articoli sulle parole «oltraggiose» del presidente ucraino, da Tel Aviv governo e deputati non hanno commentato più di tanto la sua uscita; lunica voce veramente critica quella dei vertici dello Yad Vashem, l Ente nazionale per la Memoria della Shoah che ha ricordato come il genocidio pianificato da Hitler e i suoi gerarchi non abbia termini di paragone storici e che avrebbe fatto meglio a evitare quellamalgama.Il che è vero, come è vero che la torrenziale comunicazione di Zelensky, tutta centrata sul registro dei simboli e delle emozioni, non rispetta gli ingessati protocolli del discorso diplomatico, ma parla direttamente allo stomaco, con gravità e senso della messa in scena, come quando ha postato un video su Telegram per far ascoltare il suono delle sirene antiaereo che da 25 giorni squillano nelle città ucraine. O nella sua prima apparizione pubblica dopo linvasione in cui disse al suo popolo che sarebbe restato in patria a combattere e che avrebbe potuto essere ucciso assieme alla sua famiglia quella sera stessa. Di che scandalizzare le tante marchesine del nostro panorama politico-intellettual-mediatico con il loro strambo senso delle priorità, per cui il presidente eletto di uno Stato sotto occupazione militare diventa un volgare zoticone che trasforma la guerra in spettacolo se non un pazzo irresponsabile che manda al macello la sua gente rischiando di scatenare la Terza guerra mondiale.E fanno davvero sorridere i cori di indignazione italici sulla «banalizzazione dellOlocausto» rivolti verso un politico di religione ebraica. Magari da parte di chi non si fa problemi a definire fascista lo Stato di Israele dopo ogni incursione o rappresaglia dellesercito nei Territori palestinesi. Lo stesso farisaico ribaltamento per cui la pace in Iraq e in Afghanistan doveva coincidere con il ritiro incondizionato dellesercito anglo-americano -«yankee go home!»- mentre quella in Ucraina soltanto con la resa totale di Kiev alle condizioni di Vladimir Putin. La chiamano realpolitik, ma è solo cinismo di bassa lega.Si dice poi che gli interventi Zelensky siano un format studiato, che dietro le sue ispirate e disturbanti parole si agiti la longa manus degli sceneggiatori della serie televisiva che lo rese una star contibuendo alla sua irresistibile ascesa, Servitore del popolo. E questo fatto darebbe ragione a chi parla di «inquietante distopia» per cui il presidente ucraino sarebbe un burattino controllato da Ihor Kolomoisky, loligarca ucraino proprietario della rete tv 1+1, anche lui ebreo e anche lui, nel cortocircuito ideologico generato dallo scoppio del conflitto, accusato di finanziare gruppi neonazisti. No, i collegamenti via zoom di Zelensky con le assemblee nazionali e con i governi non sono un format televisivo, una forma di marketing post-politico o una distopia alla Black mirror per il semplice fatto che in Ucraina non sta andando in onda un reality ma è in corso una guerra vera, novecentesca, fatta di bombardamenti, di migliaia di vittime civili, di milioni di sfollati, di infrastrutture distrutte, di famiglie spezzate. Pensare che in questo grumo drammatico di paura e morte, di violenza e resistenza, lostacolo alla pace sia la propaganda di Zelensky e del suo governo , la sua presunta ruffianeria verso gli alleati occidentali e non i carri armati di Mosca che assediano e bombardano da tre settimane i villaggi e le città ucraine è il sintomo di una disconnessione completa dalla realtà. Un coro ozioso e petulante alimentato da chi le guerre può permettersi di guardarle da lontano.