Il legal drama è un genere che nella serialità, ben prima dell’età dell’oro attuale, delle piattaforme che offrono storie di ogni tipo, qualità e quantità, ha sempre avuto successo e continuità. Chi non ricorda Law and order che ha alfabetizzato diverse generazioni di spettatori sul sistema giuridico statunitense ma ha anche portato, decenni dopo il più granitico e classico Perry Mason, un dibattito etico e morale su limiti e perversioni di leggi, meccanismi giuridici e politici del vero sistema portante degli Stati Uniti, come è stato dimostrato dalla Corte Suprema e la sua pronuncia sull’aborto. Poi arrivò The Practice che ci raccontò di quegli avvocati difensori che si prendono, a dispetto di record e percentuali, casi disperati o colpevoli (a volte sono entrambi) perché a tutti va garantito un processo giusto e il diritto alla difesa e perché almeno i secondi, di solito, pagano bene. Un rovesciamento forte, seppur troppo breve, rispetto al modo abitudinario della nostra tv di entrare nei tribunali e in qualsiasi altro luogo di legge e governo. Ora abbiamo Vostro Onore che guarda laddove tv e cinema spesso non si sono soffermati, se non funzionalmente a storie che vedevano negli imputati, negli avvocati, persino nelle mogli di politici che praticano la professione legale un cardine di questa narrazione così capillare. Curioso, perché il giudice in realtà è il motore della vicenda e in ogni caso sancisce, con le sue decisioni, il destino della storia, ma quasi sempre nelle serie come nei film diventa una sorta di deus ex machina, un alieno che interviene inizialmente con antipatica pedanteria e spesso alla fine con provvidenziale equilibrio nel punire i cattivi e premiare i buoni, ovviamente in extremis. Vostro onore racconta le ambizioni, i tormenti, l’inferno di un giudice che deve tradire se stesso. La figura che altrove è una pedina di lusso, qui diventa fondamentale e fondante. Ed è curioso come nei diversi adattamenti si siano trovati molti punti di contatto ma anche altri di rottura. La serie con Stefano Accorsi, targata Rai, ha infatti una duplice radice. Quella originaria di Kvodo, prodotto israeliano (la tv in Israele ha trovato nella formula narrativa e visiva della serialità un successo clamoroso, da In Treatment in poi, tratto dal loro BeTipul, è un serbatoio di idee, talenti e remake) e Your Honor, l’adattamento americano con Bryan Cranston che si toglie, qui, parte dell’eredità pesantissima di Breaking Bad riuscendo, finalmente, a essere altro. La trama è semplice e implacabile. Un adolescente uccide una persona con la macchina. Il pirata della strada è figlio di un magistrato rigoroso, ossessionato dal lavoro e dagli obiettivi che si è posto. Giudice che dolorosamente ma con onestà intellettuale e morale pretende che il figlio si costituisca. Quando arrivano e il ragazzo sta per farlo, però, il padre scopre che la vittima è di una famiglia legata alla criminalità organizzata: la posta non è più evitare il carcere, ma la morte e la vendetta di un boss. Da qui inizia una discesa agli inferi di chi, da sempre ligio alle regole, deve violarle tutte - peraltro, incompreso - per proteggere ciò che ha di più caro. Il finale è conciliante in Italia, devastante in America, equilibrato in Israele. Vostro Onore si ispira maggiormente al modello originale per la “soluzione” di questa sorta di tragedia greca togata, Your Honor fa una crasi tra le due stagioni di Kvodo), ma il punto è che ci offre finalmente una visione umana, anche controversa di un ruolo e di un uomo che spesso sottovalutiamo nella sua complessità. E sì, forse persino fragilità. Più interessante è andare a guardare al ritratto che ne fanno le tre serie. Se Yoram Hattab ha uno spettro espressivo e emotivo complesso, compresso ma anche profondo, Cranston ha l’intuizione interessante e profondamente politica di portare il suo personaggio a mettere nel tentativo di salvare l’erede lo stesso impegno ossessivo e implacabile che ha sul lavoro. Ma a fare un’opera davvero di cesello è proprio Accorsi, capace di dare una tridimensionalità a un ruolo che è invece una somma di archetipi virili, il giudice severo e il padre padrone (del destino del figlio). L’attore italiano, aiutato anche da un casting intelligente (su tutti la sempre più brava Barbara Ronchi, nemesi del giudice, dal momento che indaga sull’incidente), dà una profondità lacerante a quest’uomo, vedovo dolente e padre indolente e bloccato, giudice integerrimo e professionista ambizioso al limite del cinismo. Invece della strada della semplificazione e di un lavoro atto a scolpire un antieroe epico, Stefano Accorsi preferisce cercare l’umanità, le ferite, l’empatia, il tormento. Tanto Cranston rimaneva granitico pure nelle pose e nelle espressioni, quanto in Vostro onore il protagonista muta, si ricrede, apre costantemente un ventaglio interpretativo sempre diverso. Fuori e dentro l’aula. Che altro non è, in fondo, che un anfiteatro da tragedia greca, con tanto di coro (la giuria) e maschere.