«Dall’inizio dell’anno la rapida diffusione in tutto il mondo del nuovo coronavirus ha causato una gravissima emergenza sanitaria, milioni di persone sono state colpite, centinaia di migliaia hanno perso la vita. Il contenimento della pandemia ha reso necessarie l’introduzione di misure drastiche di limitazione delle libertà personali di movimento e di interazione sociale, la sospensione della didattica in presenza nelle scuole e nelle università, la chiusura temporanea di molte attività produttive. È una crisi senza precedenti nella storia recente, che mette a dura prova l’organizzazione e la tenuta dell’economia e della società». È questo lo scenario descritto dal Governatore di Bankitalia, Ignazio Visco, in occasione della presentazione della Relazione annuale sul 2019. «L’incertezza oggi è forte; riguarda non solo l’evoluzione della pandemia ma anche gli effetti sui nostri comportamenti, sulle abitudini di consumo, sulle decisioni di risparmio. Ci si chiede quali nuovi bisogni si affermeranno e quali consuetudini saranno definitivamente superate. E ci si interroga sulle possibili conseguenze, oltre il breve periodo, per l’organizzazione della società e dell’attività produttiva», ha sottolineato, spiegando come ora sia difficile «prevedere tempi e intensità della ripresa. Gli effetti immediati sull’attività produttiva mondiale sono stati marcati. Quelli che ancora si registreranno sono difficili da valutare, rifletteranno in primo luogo fattori di natura non economica quali l’evoluzione dei contagi, con il possibile riemergere di nuovi focolai, e la durata delle misure di contenimento. Molto dipenderà - ha aggiunto - dalla dimensione e dall’efficacia delle politiche di sostegno messe in campo nei diversi paesi, dall’andamento della fiducia delle famiglie e delle imprese e da quanto questa esperienza modificherà i nostri comportamenti. Le pressioni disinflazionistiche potrebbero essere forti e persistenti; ne è un segnale la caduta, nei principali paesi, delle attese di inflazione a breve e a lungo termine». La profondità della recessione, ha avvisato Visco, «potrebbe essere amplificata da nuove turbolenze sui mercati, dall’accentuarsi delle tendenze protezionistiche emerse nello scorso biennio, dal diffondersi di casi di insolvenza nelle economie in misura tale da innescare crisi sistemiche nel settore finanziario». «Nello scenario di base la flessione dell’attività produttiva nel 2020 sarebbe pari al 9 per cento, superiore a quella sofferta in due riprese tra il 2008 e il 2013; il calo si concentrerebbe nei primi due trimestri dell’anno, con un parziale recupero a partire dall’estate. Senza il sostegno alla domanda fornito dalle politiche di bilancio finora definite la contrazione dell’attività economica supererebbe l’11 per cento», ha aggiunto. «Le moratorie sul credito e le garanzie sui nuovi prestiti alle imprese riducono drasticamente il rischio di effetti di amplificazione ulteriori, associati a una diffusa crisi di liquidità. Nel 2021 il prodotto recupererebbe circa metà della caduta. Queste stime presuppongono che prosegua il contenimento dei contagi a livello nazionale e globale», ha spiegato. «In un secondo scenario basato su ipotesi più negative, anche se non estreme, in merito all’evoluzione dell’epidemia, all’entità del calo del commercio mondiale e all’intensità del deterioramento delle condizioni finanziarie, il prodotto si ridurrebbe del 13 per cento quest’anno e la ripresa nel 2021 sarebbe molto più lenta. In entrambi gli scenari la caduta del prodotto nell’anno in corso sarebbe dovuta per metà alle limitazioni connesse con i provvedimenti di sospensione dell’attività e la conseguente contrazione del reddito disponibile; per l’altra metà rifletterebbe il rallentamento del commercio internazionale e il sostanziale arresto dei flussi turistici internazionali». «L’impatto della recessione e delle misure messe in campo per contenerne le conseguenze è forte sulle finanze pubbliche. Nel quadro macroeconomico del Governo si prevede per il 2020 un disavanzo pari al 10,4 per cento del pil e un aumento del peso del debito pubblico sul prodotto di 21 punti percentuali, al 156 per cento. Un lascito così pesante impone una presa di coscienza della dimensione delle sfide di fronte a noi», ha aggiunto. «L’economia italiana deve trovare la forza di rompere le inerzie del passato e recuperare una capacità di crescere che si è da troppo tempo appannata. Nonostante le profonde ferite della crisi e le scorie non ancora assorbite di quelle precedenti, le opportunità in prospettiva non mancano; il Paese ha i mezzi per coglierle». L'economia italiana L'anno scorso il Pil ha decelerato, registrando una crescita dello 0,3 per cento. Gli investimenti sono aumentati decisamente meno rispetto al 2018, frenati dall'incertezza diffusasi tra le imprese a seguito del rallentamento dell'economia globale e delle persistenti tensioni protezionistiche. I consumi delle famiglie hanno risentito della debole dinamica del reddito disponibile.In un contesto di significativo indebolimento del commercio mondiale, le imprese italiane hanno sostanzialmente mantenuto le quote di mercato. Si è di riflesso ampliato il surplus di conto corrente, sostenuto anche dal miglioramento della bilancia turistica; la posizione netta sull'estero dell'Italia è risultata alla fine del 2019 prossima al pareggio.A livello territoriale, nel 2019 l'attività economica è cresciuta nel Nord; si è mantenuta sui livelli dell'anno precedente nel Centro e nel Mezzogiorno.L'occupazione ha continuato ad aumentare, sebbene a un ritmo inferiore rispetto al 2018. L'espansione, più accentuata nella prima metà dell'anno, si è successivamente attenuata, riflettendo l'indebolimento ciclico. Il tasso di disoccupazione è diminuito, portandosi al 10,0 per cento nella media del 2019. L'impulso della politica di bilancio, misurato dalla variazione dell'avanzo primario corretto per gli effetti del ciclo economico, è stato lievemente restrittivo; era stato espansivo nel quinquennio precedente.Dalla fine di febbraio la diffusione dell'epidemia di Covid-19 ha determinato un forte impatto negativo sull'attività economica. Nel primo trimestre il Pil ha registrato una flessione del 4,7 per cento; sulla base di nostre valutazioni, il calo sarebbe stato più accentuato nelle regioni del Nord. Alla contrazione del prodotto avrebbe contribuito soprattutto la marcata diminuzione della spesa delle famiglie. Da marzo l'interscambio con l'estero e i flussi turistici hanno risentito della flessione della domanda globale e dell'interruzione delle attività produttive "non essenziali" disposta dal Governo per contrastare la diffusione dell'epidemia. Gli indicatori disponibili segnalano una significativa caduta del prodotto anche nel secondo trimestre, che si rifletterebbe in un deciso calo nel complesso dell'anno in corso.Da marzo l'emergenza sanitaria ha determinato una riduzione degli occupati, soprattutto tra i dipendenti a termine; nel complesso del primo trimestre è stata pari allo 0,4 per cento nel confronto con gli ultimi tre mesi del 2019. Il calo delle posizioni lavorative è stato in parte frenato dalla sospensione dei licenziamenti per motivi economici e dal potenziamento della Cassa integrazione guadagni. Il deterioramento delle condizioni del mercato del lavoro potrebbe essere più accentuato nei mesi primaverili, specie nel segmento dell'occupazione a termine.L'inflazione è stata particolarmente moderata nel primo trimestre e si è collocata su valori appena positivi in aprile. Sia le aspettative di inflazione registrate sui mercati finanziari dell'area dell'euro, sia le intenzioni espresse dalle imprese italiane sui propri listini nei prossimi dodici mesi sono state riviste al ribasso.Le prospettive della finanza pubblica sono state decisamente modificate dall'emergenza sanitaria. Nelle previsioni ufficiali il disavanzo del 2020 e quello del 2021 salirebbero rispettivamente di circa 8 e 4 punti percentuali in rapporto al PIL rispetto a quanto programmato nella scorsa sessione di bilancio; il rapporto tra il debito e il PIL aumenterebbe di oltre 20 punti percentuali quest'anno, raggiungendo il 155,7 per cento, nel 2021 diminuirebbe grazie alla ripresa economica.Un ritorno alla crescita dell'economia italiana nel prossimo decennio è possibile con adeguati aumenti della partecipazione al mercato del lavoro e dell'occupazione, degli investimenti e della produttività.