La politologa Sofia Ventura ritiene che «Draghi finora ha dimostrato capacità di negoziazione e resilienza, fondamentali per tenere a bada i partiti, ma nei prossimi mesi chissà» e spiega che «siamo l’unico paese che cambia legge elettorale come si cambia il pigiama».

Professoressa, crede che il secondo anno di Mario Draghi a palazzo Chigi sarà più o meno impegnativo politicamente rispetto al primo?

Premesso che nessuno di noi ha la sfera di cristallo, penso che la conferma di Mattarella al Quirinale abbia congelato la situazione, o comunque posto le premesse per il prosieguo della legislatura fino al 2023. Ciò non toglie che continueranno a esserci attriti fra Draghi e i partiti, che già c’erano stati, e vediamo che spesso questo porta a tensioni come quelle sulle concessioni balneari, sulla manovra economica e sulla giustizia. Tuttavia non penso che i partiti di maggioranza porteranno queste polemiche a un punto tale da mettere a rischio il governo. Penso soprattutto alla Lega, dove spesso Salvini fa tre passi avanti ma poi i governatori lo riportano due passi indietro, o al Movimento 5 Stelle che vive un momento difficile con il suo leader Conte in una fase critica ma un’altra parte del Movimento fortemente governista.

Draghi ha escluso con forza che possa fare da federatore a un ipotetico fronte centrista. Che ne pensa?

Penso che la volontà di Draghi sarà una variabile importante. Potrebbe anche scocciarsi di continuare, visto che anche la sua è una personalità particolare e non possiamo escludere che prima o poi si “stanchi”. Finora ha dimostrato capacità di negoziazione e resilienza, come si dice ora, fondamentali per tenere a bada i partiti. Nei prossimi mesi chissà.

Il centrodestra è uscito con le ossa rotte dalla partita del Quirinale. Riusciranno a ricompattarsi entro le Politiche del 2023?

In campo elettorale siamo ormai abituati a vedere i due livelli, nazionale e locale, piuttosto differenziati, anche se tutto ciò è abbastanza incoerente dal punto di vista logico. È dunque probabile che Fratelli d’Italia voglia provare a capitalizzare questa sua avanzata che prosegue spedita. Il gap tra Fd’I e Lega si sta allargando dopo la rielezione di Mattarella e quindi non escludo che in qualche realtà dove Meloni si sente particolarmente forte possa andare da sola. Questo non vuol dire che altrove possano benissimo continuare ad andare insieme.

Il ministro Franceschini ha auspicato una Lega “moderata”. Pensa sia possibile?

In Italia le scelte politiche non richiedono programmazione, si fa quello che si ritiene conveniente al momento. Potremmo quindi trovarci anche di fronte a scelte alla Arlecchino. Insomma non metterei la mano sul fuoco che si formi una sorta di fronte sovranista da qui al 2023. La competizione tra Salvini e Meloni è molto forte ed è molto legata alle ambizioni dei due leader. Nel nostro paese, dire con molto anticipo che si mira a palazzo Chigi, come fa Meloni, non è così frequente. E questa è una pretesa che non piace a Salvini, il quale deve vedersela al suo interno con la parte più pragmatica del suo partito. Ma la coalizione di centrodestra potrebbe anche presentarsi unita e poi dividersi dopo le elezioni, visto che è già successo.

Dall’altra parte c’è il campo progressista: detto dei problemi del M5S, come dovrebbe comportarsi il Pd?

Mi sembra che il Pd non abbia una linea precisa e unitaria. C’è l’ala ex renziana che non guarda con favore all’alleanza con i Cinque Stelle. Ma, nonostante i dati della realtà porterebbero a ripensare la strategia, pare che il Pd voglia continuare questa alleanza. Mi sembra una dimostrazione di poca fantasia, di voler trovare una soluzione a breve termine che consenta di tenere il controllo del governo dopo il 2023. L’idea della traversata del deserto non sfiora i dirigenti del Nazareno.

In mezzo c’è un magma centrista che prova a prendere forma in vista delle Politiche. Ci riuscirà

Dipenderà molto dalla forza con la quale i due schieramenti di centrosinistra e centrodestra si presenteranno al voto. Se le due compagini avranno risultati deludenti, il centro potrebbe vedere accresciuto il suo ruolo e risultare decisivo. Ma anche il centro è in confusione, non è ben chiaro cosa vogliano fare. Il progetto Coraggio Italia più Italia viva mi sembra la solita cosa centrista vecchio stile.

Alla quale Calenda ha detto “no”.

Azione e + Europa non intendono aderire e fanno anche bene, quantomeno perché mantengono un’identità precisa e diversa dalla palude centrista. Il problema è che non decollano, perché i liberal democratici in questo paese sono minoranza e spesso non sanno sviluppare una visione che possa coinvolgere ed emozionare. Abbiamo due centri: il primo che è più alla ricerca del potere; l’altro che cerca di mantenere la sua identità ma fatica a parlare al paese.

Molto dipenderà anche dalla legge elettorale: crede che i partiti riusciranno ad accordarsi per un nuovo testo che sostituisca il Rosatellum?

Siamo l’unico paese che cambia legge elettorale come si cambia il pigiama. Ma sulla legge elettorale si fanno spesso ricadere aspettative messianiche come se da quello dipendesse tutto, ma non è così. Da ragazzina raccolsi le firme per il Mattarellum e quindi credo nell’importanza della legge elettorale, ma dall’altro lato ho iniziato a capire che ci sono delle deficienze nel nostro sistema politico- partitico e nel nostro ceto dirigente, che finché non cambia qualcosa di fondo non c’è legge elettorale o riforma istituzionale che tenga.

Niente ritorno a un proporzionale stile prima Repubblica, dunque.

Non vedo come possa essere fatta una nuova legge elettorale in un anno; alcuni partiti sono d’accordo sul proporzionale ma non tutti, inoltre siamo già in un sistema per tre quarti proporzionale. Poi certo un sistema di questo tipo offre rappresentanza anche alle formazioni più piccole, ma c’è bisogno anche di stabilità di governo. L’idea è che con il proporzionale si possa sancire un modello in cui si va a elezioni e solo dopo si stabiliscono governi e alleanze. Cosa che però in fondo già succede, basta vedere l’andamento di questa legislatura. Insomma mi sembra che parlare di legge elettorale sia un modo per i partiti di buttare la palla in tribuna.