I provvedimenti che il governo si accinge a varare sono stati ampiamente criticati da più parti e con diverse motivazioni. A me i dettagli tecnici non interessano mentre la filosofia sottostante sì, anche se non riesco a identificarla. Magari qualche lettore caritatevole potrà aiutarmi. Dunque, il governo vuole rendere migliore il lavoro. E per realizzare questo nobile obiettivo cosa fa? Aumenta i costi di una tipologia di contratto, quella a termine. Ora, non bisogna essere scienziati per capire che se aumenta il prezzo/ costo di qualcosa, a parità di budget l’acquirente comprerà di meno del bene il cui prezzo è cresciuto oppure comprerà di meno di qualche altra cosa o di entrambe. Non ci sono alte possibilità. Se un’azienda spende 100 per il lavoro, acquistando due lavoratori a tempo indeterminato per 20 ciascuno e 6 lavoratori a tempo determinato per 10 ciascuno ( totale 60 che sommato ai 40 dei tempi indeterminati fa, appunto, 100), una volta che grazie al decreto dignità il costo del tempo determinato sale a 15 ( è solo un esempio per evidenziare l’illogicità dell’intervento e fare tornare i conti), l’impresa verosimilmente lascerà a casa due lavoratori a tempo determinato acquistando esattamente 2x20 e 4x15 ( totale ancora 100). Che si tratti di un’impostazione tanto strampalata quanto voluta lo conferma proprio il ministro del Lavoro ( e altro). Ieri i dati dell’Istat hanno palesato una crescita dell’occupazione davvero oltre le attese, mentre il ministro ha parlato di precariato dilagante. È vero che ciò che conta è il monte ore lavorate - che cresce meno se i contratti sono a tempo determinato - ma è di palmare evidenza che il contratto a termine è molto richiesto dalle aziende e costituisce un caso di assoluto successo per il sistema economico attuale ( che non è quello del posto fisso a vita di cinquant’anni fa). Ebbene si vuole proprio colpire questa cosa che funziona. Ci sono diversi precedenti sulla materia, primo fra tutti quello relativo al depotenziamento dei voucher. Anche quello fu un caso di successo straordinario, visto che triplicò le ore lavorate e pagate con i buoni nel giro di pochi anni, facendo emergere nero che più nero non si poteva. Non solo: i voucher ammontavano a molto meno dell’ 1% di tutte le ore lavorate e quindi neppure di conclamata patologia si doveva parlare ( gli abusi si combattono con i controlli mentre immaginare un mondo senza abusi è pura follia). Eppure si volle distruggere, per ragioni di consenso politico, quello strumento ( con esiti poi distruttivi proprio sul consenso).

Insomma: siamo in perfetta coerenza con il teorema denunciato da Ronald Reagan a proposito del dirigismo di sinistra: se qualcosa funziona ( è vitale, si muove) tassatelo, se si muove ancora regolamentatelo, se non si muove più sussidiatelo. Ma non basta. L’errore concettuale dentro questo “voucher 2: la vendetta”, a proposito di aumentare i costi di una cosa ideologicamente sgradita, ma apprezzata dal mercato - cioè dagli esseri umani che siglano accordi reciprocamente vantaggiosi dentro un contesto di regole ragionevoli e condivise - è che gli operatori reagiscono secondo la propria convenienza, non secondo la volontà del legislatore. Nell’esempio precedente, se le aziende hanno bisogno di lavoratori a termine in ragione della volatilità o di altre specificità dei piani produttivi, potranno licenziare non due lavoratori a tempo determinato ma, per esempio, un lavoratore a termine e uno a tempo indeterminato, allocando le risorse fisse pari a 100 su 5 lavoratori a tempo determinato ( 15x5= 75) e un lavoratore a tempo indeterminato ( pari a 20, utilizzando il risparmio di 5 per pagare input più costosi visto che la scala di produzione si riduce).

Anche gli altri provvedimenti sono quanto meno strani. Come sostiene l’esperto Vincenzo Giuffrè, il divieto assoluto di pubblicità al gioco d’azzardo non può certo valere per le concessioni in essere, perché violerebbe un patto in modo retroattivo. Ma anche per le concessioni future, non si capisce come l’attività d’impresa possa svolgersi in completa assenza di una fondamentale leva di marketing. Sostanzialmente si contravviene alla ( presunta) libertà d’iniziativa economica privata di cui all’articolo 41 della Costituzione. La ragione della patologia dell’azzardo risiede nella trasformazione del gioco da evento raro ed emozionante a triste componente quotidiana della vita di tanti cittadini: il protagonista di questo fenomeno è lo Stato, via lotterie istantanee e continue, gratta e vinci, giochi diseducativi in televisione e pubblicità continua. Si cominciassero a ridurre queste attività statali, e questo governo della dignità può farlo perché, sembra, è in grado di trovare tutte le risorse per coprire qualsiasi mancato gettito. Infine, ci sono i minacciosi provvedimenti punitivi per le aziende che non fanno degli incentivi loro accordati l’uso che vuole il legislatore benevolente. Questo dovrebbe fare riflettere sul senso dei troppi bonus accordati, al di là dell’impossibilità giuridica di tornare indietro modificando le regole a proprio piacimento.

In generale non capisco perché i governi, quasi tutti i governi, per aiutare i propri cittadini- sudditi si accaniscano su strade tortuose ( tipo offrire loro un lavoro): non si potrebbe direttamente intervenire con un “decreto felicità” garantendo loro casa, soldi, amici e altre utilità (che sarebbe sconveniente definire, ma a cui tutti pensano immediatamente)?