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Farinata chiede a Dante: chi fuor li maggior tui?.
Una sorta di ricerca degli antenati è nata anche nei confronti dell’attuale Presidente del Consiglio: chi l’accosta ad Andreotti, chi a Monti, chi a Moro. Sia chiaro, nessuno ravvisa un vero e proprio rapporto di ascendenza istituzionale bensì dei codici di comportamento comuni. Invero la tendenza a ravvisare comunanze con i predecessori è frequente per calciatori, cantanti, attori: non per i Presidenti del Consiglio. Ma forse questa attenzione mediatica per individuare di chi Giuseppe Conte può essere considerato almeno pro parte epigono si spiega proprio con l’assoluta atipicità del suo ruolo e con esso della strutturazione della compagine governativa cui è preposto.
Se andiamo a scorrere le tante locuzioni impiegate per descrivere le caratteristiche salienti delle svariate formule di governo che la Repubblica ha avuto ( di coalizione, di solidarietà nazionale, del Presidente, di non sfiducia, balneare, monocolore, di tregua, di attesa, di emergenza, di garanzia istituzionale, di programma, ecc.) nessuna è riconducibile all’attuale Governo che si esprime in un duumvirato assistito da un presidente mediatore, il quale opera in attuazione e gestione di un contratto per di più, oltre che lacunoso soggetto ad interpretazioni tutt’altro che omogenee.
Vero è che la mediazione è sempre stata il compito primario di ogni Presidente del Consiglio. Come ebbe a scrivere Livio Paladin, «salvo forse il caso di De Gasperi» ( e - aggiungo io - la fase della Presidenza di Berlusconi definita “sultanato” da Sartori) il Presidente si e sempre «visto costretto nella veste di un paziente mediatore fra le varie eterogene componenti della coalizione». Non a caso Giuliano Amato, facendo leva anche sulla propria esperienza, ha messo in luce comunque il potere di indirizzo di cui dispone per Costituzione il Presidente del Consiglio sia sempre più coordinamento ovverosia mediazione. Quando però si tratta di mediare tra posizioni cosi eterogenee, anzi talvolta radicalmente opposte al punto da far impallidire il milazzismo che aveva in se comunque il forte collante degli interessi siciliani, la mediazione è al limite della missione impossibile. Ciò malgrado non c’è dubbio che Conte vi stia riuscendo sia per la forza delle cose in quanto il fallimento della mediazione determinerebbe la fine del Governo e le elezioni anticipate che, al di là delle dichiarazioni, nessuno sembra volere, ma sia anche per meriti propri anche se non sbandierati, né forse sbandierabili.
Si comprende pertanto l’accostamento ad Andreotti per il suo lavorare dietro le quinte e senza proclami altisonanti ( anche se invero non ricordo da parte di Conte epigrammi fulminanti) ma anche si comprende l’accostamento a Moro per la sua capacità di tessitore, capacità che aveva il suo simbolo nelle “convergenze parallele”, e se pur il brevetto di tale ossimoro lo si deve a Scalfari, rende bene le capacità ` equilibriste di Moro. Costoro però erano leaders di partito, avevano dietro di se ´ una intensa e titolata storia politica, il che facilitava la ricerca di punti di consenso. Tutto diverso è lo status di Conte, una sorta di isolato - come Bottecchia nei tour de France d’un tempo – sicché, se vogliamo trovare un Presidente più vicino a Conte sia nel pregresso sia nelle circostanze in cui opera, esso è individuabile semmai in Lamberto Dini: del pari non politico di professione, misurato nei modi, non propenso alle esternazioni, a suo agio nei consessi internazionali. Sono pero dei punti di contatto non di più: se poi Conte come Dini ( e piu` tardi Monti) ritenesse di mettersi in proprio, allora, salvo una azione di disconoscimento da parte dello stesso Dini, la ricerca dell’ascendenza sarebbe conclusa.