Professor Tarchi, questa è la settimana in cui la discussione sul Mes dovrebbe arrivare in Aula, ma un rinvio all’autunno è sempre più probabile. Pensa che la maggioranza prima o poi lo ratificherà o insisterà nel rifiutarsi, come da promesse di campagna elettorale di Lega e Fdi?

Se la Lega – o meglio, Salvini, dato che la posizione di Giorgetti appare equivoca – terrà duro per avere uno strumento di pressione sul governo, non la ratificherà. Giorgia Meloni tiene molto alla sua immagine di coerenza, per quanto su più di un tema, come strumenti straordinari di contrasto all’immigrazione e rapporti con l’Unione europea, abbia già cambiato, di fatto, posizione. Questo eventuale voltafaccia potrebbe danneggiarla. Ma la scelta dipenderà anche dalla disponibilità o meno dell’Ue ad accettare contropartite, in quella sorta di trattativa diplomatica sui generis che si è aperta nelle ultime settimane, soprattutto attorno alla questione della garanzia europea sui depositi bancari.

La diversità di vedute in maggioranza si traduce con Forza Italia più disponibile nei confronti della ratifica. Crede che potrebbero nascere degli attriti tra gli alleati col passare del tempo e l’aumentare della pressione dell’Ue per la ratifica?

Gli attriti ci sono già ed è probabile che possano crescere, perché la competizione fra gli alleati è più che mai presente. Basta pensare a tutti i distinguo che, soprattutto da una delle componenti di Forza Italia, si sono fatti sentire fin dalle settimane successive alle elezioni del 25 settembre. Ma, finché non si prospetterà uno scenario in cui almeno una parte di Forza Italia possa intravedere la possibilità di cambiare alleanze senza autodistruggersi, il collante del potere basterà a salvare l’esecutivo dai rischi di fibrillazioni fuori controllo. Ad oggi, un accordo fra centristi porterebbe poco lontano, e un’intesa con le opposizioni sarebbe percepita dagli elettori di FI come un tradimento e polverizzerebbe elettoralmente gli scissionisti.

A proposito di Forza Italia, i sondaggi registrano un “effetto Berlusconi” dopo la morte del Cavaliere. Pensa che il partito riuscirà a restare unito almeno fino alle Europee o i dissidi interni che Berlusconi contribuiva a calmare esploderanno nei prossimi mesi?

Questa è una previsione impossibile. La soluzione- ponte dell’affidamento a Tajani non può che essere provvisoria, ed è arduo capire se altri soggetti, a partire da Marta Fascina e Marina Berlusconi, potranno tenere a freno le tendenze centrifughe. Prima o poi le diverse anime giungeranno alla resa dei conti, perché è da tempo che le avvisaglie di una divaricazione interna si fanno sentire e la scomparsa del leader di sempre è sicuramente destinata ad aggravarle, ma ipotizzare quando questo avverrà è come sperare nel classico terno al lotto. Quanto all’effetto- Berlusconi, inteso come una replica della spinta emotiva che trascinò il Pci all’effimero primato all’immediato indomani della morte in diretta di Berlinguer, le Europee sono troppo lontane perché possa farsi sentire in modo significativo. La disgregazione mi sembra un esito più probabile.

L’elettorato sembra al momento restare fedeli a Fi, ma al funerale di Berlusconi c’è stata una vera e propria ovazione per Meloni. Pensa che l’elettorato forzista potrebbe spostarsi prima o poi verso quei lidi o magari sarà inglobato dal centro di Renzi e Calenda?

Non è improbabile che possano accadere entrambe le cose. Da sempre, nel voto forzista sono confluiti settori dell’elettorato eterogenei, così come eterogenea è stata la provenienza della classe dirigente del partito. Venuta a mancare la figura di riferimento, è possibile che ciò che per un certo periodo – e comunque in proporzioni sempre calanti – si era coagulato finisca con lo sciogliersi. E di un esito di quel tipo beneficerebbero certamente sia Fratelli d’Italia che Renzi e/ o Calenda. Resta da capire in quale rispettiva misura.

L’opposizione, divisa su molti aspetti, sta trovando convergenza nel chiedere le dimissioni di Daniela Santanché, dopo l’inchiesta di Report sulle sue aziende, e la Lega vuole che riferisca in Aula, come avverrà. Crede che si arriverà alle dimissioni della ministra o la maggioranza la difenderà compatta?

La difesa ci sarà, ma la variabile giudiziaria è difficile da arginare. Sul terreno mediatico le risposte sono possibili, anche se una campagna di stampa lascia sempre strascichi, ma quando arrivano gli avvisi di garanzia, come abbiamo visto tante volte, il discorso cambia. Al di là della capacità di persuasione dell’interessata in sede parlamentare, sarà dunque l’evoluzione della vicenda in altre sedi a far eventualmente desistere i partiti di governo dalla posizione che per ora hanno assunto.

Un punto più di altri rischia però di mettere i bastoni tra le ruote alla maggioranza, soprattutto nel rapporto con l’Ue: il Pnrr. La terza rata è in arrivo ma decisamente in ritardo, e sono impossibili ormai da raggiungere anche gli obiettivi per la quarta. Pensa che si arriverà a una rimodulazione in tempi brevi o il Piano si incaglierà?

Non è nell’interesse dell’Unione europea, a prescindere dalle simpatie o antipatie esistenti al suo intervento verso l’attuale esecutivo italiano, far incagliare un piano su cui si è fondata tanta parte della sua popolarità nell’epoca del post Covid. È al Nex Generation Eu, e dunque al Pnrr, che Bruxelles deve la risalita delle sue quotazioni presso un’opinione pubblica europea che proprio a causa della diffidenza verso il suo operato aveva premiato fortemente i partiti populisti un po’ in tutto il continente. Quindi è ragionevole attendersi, da parte sua, un buon margine di flessibilità, che potrebbe favorire una rimodulazione dei capitoli meno facilmente attuabili del progetto. Starà però al governo dimostrarsi in grado di approfittare di questa apertura, e al momento mi pare che molti degli aspetti più strettamente tecnici della vicenda siano piuttosto oscuri agli occhi dei non addetti ai lavori.