Piero De Luca spiega che il Pd «voterà il prossimo pacchetto di invio di armi all’Ucraina» e che sulle risoluzioni «la gestione, anche da un punto di vista comunicativo, poteva certo essere più efficace». Poi parla di abuso d’ufficio. «Non condivido - dice - i toni duri di contrapposizione con i sindaci da parte di qualche dirigente del Pd».

Onorevole De Luca, Ci può spiegare cosa è accaduto nel partito con le risoluzioni sulle armi all’Ucraina?

Credo sia utile ribadire oggi, a maggior ragione dopo quanto accaduto in Aula, che il Pd è stato e resta nettamente su una linea di sostegno al popolo e alle istituzioni ucraine. Vorrei che fosse chiaro perché abbiamo lavorato con spirito unitario e costruttivo per una nostra risoluzione autonoma che chiarisse la continuità del nostro sostegno a Kiev rispetto a un’aggressione inaccettabile volta a ridisegnare i confini geografici di un paese e a mettere in discussione i valori democratici ai confini dell’Europa. Siamo con l’Ucraina con tutte le forme di assistenza necessarie.

Quindi siete favorevoli all’invio di armi?

Il Pd voterà il prossimo decreto del governo sull’invio di armi. Rispetto alle precedenti risoluzioni abbiamo solo aggiunto un passaggio rispetto all’esigenza, condivisa da tutti, di mettere in campo un’azione più decisa anche in sede europea per un’azione diplomatica di pace. Una pace che sia giusta. E abbiamo incalzato il governo sulla capacità di incidere sui propri alleati europei, come Orban, che ha messo il veto sul bilancio europeo per il sostegno all’Ucraina. Gli aiuti devono essere finanziari, umanitari e militari. Se interrompiamo il sostegno militare a Kiev rischiamo di non avere più l’Ucraina come stato sovrano.

Eppure nel vostro testo non c’era la parola armi: forse per non scontentare una parte del partito?

Parliamo di pieno sostegno all’Ucraina “con tutte le forme di assistenza necessarie” intendendo anche le forniture militari. È una locuzione alla quale ho lavorato anche io direttamente nei mesi scorsi anche in relazione alle risoluzioni del Consiglio europeo, in linea con la Carte delle Nazioni Unite, e la formulazione rispetta l’indirizzo politico assunto sin dall’inizio della guerra. Il Pd sostiene militarmente l’Ucraina perché è necessario farlo per arrivare a un cessate il fuoco. Altrimenti sarebbe una resa agli invasori.

Il Pd si è poi astenuto sulla risoluzione che invece chiedeva lo stop alle armi a Kiev: come lo spiega?

La gestione, anche da un punto di vista comunicativo, poteva certo essere più efficace, ma quello che è successo in realtà è molto semplice. Una volta approvata la risoluzione della maggioranza, la parte della risoluzione M5S sullo stop delle armi a Kiev è decaduta, e così il nostro gruppo ha deciso per un’astensione, visto che nel testo che si è votato formalmente non c’era più quella parte. Riconosco che sarebbe stato inverosimile votare l’opposto di quello che era contenuto nella nostra risoluzione.

A prescindere da questo episodio, come si può costruire un’alleanza strutturale con un partito che su un punto così dirimente la pensa in modo opposto a voi?

Credo che sia un tema serio. Le alleanze non si possono costruire a tavolino in laboratorio ma elaborando un progetto condiviso e con un’idea di governo delle comunità, che siano a livello locale o nazionale. Credo che questa sia un’esigenza indispensabile perché un’alleanza possa apparire credibile e solida. Ma questo non ci deve far perdere di vista la necessità di superare ogni presunzione di autosufficienza, visto che da soli, contro questa destra, non si vince. Occorre uno sforzo reciproco per arrivare a idee e proposte comuni partendo dai punti di sinergia, come salario minimo e sanità pubblica. Certo la differenza su alcuni temi strategici è un elemento di criticità e di limite su cui lavorare. Oggi noi dobbiamo pensare però prima a rafforzare il Pd, poi alle alleanze.

A proposito di Pd, c’è una scollatura evidente tra la dirigenza e i sindacata, ad esempio sull’abuso d’ufficio. Che ne pensa?

Con grande franchezza, non condivido i toni duri di contrapposizione con i sindaci da parte di qualche dirigente del Pd. I sindaci da anni stanno ponendo un tema sacrosanto che è l’oggettiva criticità dell’attuale normativa sull’abuso d’ufficio. Sin dalla scorsa legislatura ho presentato a mia prima firma una proposta di legge per rivedere in modo più ragionevole l’ambito di applicazione dell’attuale disciplina e credo sia necessaria una revisione organica radicale. Tuttavia, utilizzando l’accetta la destra sta rischiando di far peggio di prima, anche rispetto a quelle che sono le regole Ue. Serve una revisione dell’omissione impropria e dell’abuso d’ufficio così come una limitazione del profilo degli illeciti contabili ai soli casi di dolo.

Eppure diversi parlamentari spiegano che i sindaci confondono i provvedimenti e che i maggiori problemi non arrivano dall’abuso d’ufficio…

Occorre grande equilibrio su questi temi. I sindaci pongono una preoccupazione legittima sugli effetti sproporzionati legati all’applicazione dell’attuale, e pur riformata nel tempo, disciplina sull’abuso d’ufficio. L’amministrazione pubblica dovrebbe essere resa più dinamica anche per poter utilizzar dei fondi del Pnrr. Io ritengo che l'abrogazione totale presenti un rischio maggiore. Ma è necessaria una forte delimitazione dei confini. Voglio essere chiaro: ciò non vuol dire impunità, ma il 97% dei procedimenti aperti hanno portato all’assoluzione dopo mesi o anni di tormenti mediatici per tanti amministratori. E questo non possiamo non considerarlo.

Si discute molto anche di legge Severino: pensa occorre una revisione?

Un tagliando credo sia oggettivamente utile immaginarlo e prevederlo, visto che la stessa Severino ha posto questo tema. La necessità di un ragionamento sulla sospensione dopo una prima condanna, come prevede la norma, sta diventando argomento condiviso in molti gruppi parlamentari. D’altronde, per anni la Severino ha prodotto una sospensione temporanea della democrazia che poteva essere evitata.

Salvini e Conte si sono tirati indietro, Renzi ci sarà, Meloni forse. Pensa che Schlein debba candidarsi alle Europee?

Credo che i leader abbiano la possibilità di fare campagna elettorale e dare spinta al partito dal ruolo che rivestono. Il Pd ha ottenuto risultati importanti anche senza leader candidati, dal 40 per cento di Renzi al 23 per cento di Zingaretti. Abbiamo una serie di rappresentanti della società civile e parlamentari di assoluto rilievo e non abbiamo la necessità, che ha ad esempio Fdi, di coprire un vuoto di classe dirigente. Cioè il motivo per cui Meloni vorrebbe candidarsi. In ogni caso, la scelta sarà fatta dagli organi dirigenti del partito ma mi auguro che i nodi siano sciolti quanto prima.